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Tutti gli osservatori concordano che il vivere quotidiano di notevole parte della popolazione è condizionato da insicurezza, che velocemente evolve in sentimenti di vera paura di fronte a fenomeni incontrollabili e ingestibili.
È proprio in questo nostro tempo che il fenomeno epocale dell'immigrazione dall'Africa e dai paesi in guerra è certamente quello che mette più in crisi la gente, accostando e accrescendo tutte le incertezze per un futuro che sembra dare ben poche speranze.
Come se non bastasse ciò, c’è chi, per raccattare voti (per farsene poi cosa?), crea ed alimenta spesso in modo ossessivo le paure percepite. Ma chi vive nella paura non ha una vita felice.
A ben guardare, si aggiunge così un nuovo compito per la scuola. Essa ha tanti compiti, ma io non trascuro il fatto che tra i compiti dell’educazione e dell’istruzione ci sia quello di rendere, per quanto possibile, la vita delle persone un po' più felice.
Infatti, se l’obiettivo finale dell’educazione è formare persone mature, responsabili, consapevoli, la capacità di conoscere e gestire la paura (che si traduce, in sostanza, saper gestire il futuro!) non vuol dire disconoscere i problemi e rendersi conto della loro urgenza e gravità, ma che è possibile utilizzare strumenti per comprendere che i problemi hanno necessità di risposte e non di fughe nella irrazionalità.
Io assegnerei alla matematica e alla storia un compito peculiare di formazione per questi obiettivi.
La matematica è la scienza dei numeri (si dice così?). La maestra alla elementari insegnava a “fare di conto”, accanto a “leggere” e “scrivere”.
Oggi spesso nei media i numeri per descrivere un fenomeno sociale o non si danno, o si danno a caso, o si danno strumentalmente (si pone l’accento su alcuni e se ne nascondono altri). Conoscere i numeri significa rendersi conto della ampiezza anche numerica di un fenomeno. Confrontare i numeri permette di comprendere quanto infatti siano essi esclusivi o debbano essere compartecipati (magari, con la banale regola del “mal comune mezzo gaudio”, cioè non siamo gli unici e non siamo soli…).
Abituare alla concretezza dei numeri significa ridurre lo spazio dell’emotività e a fare crescere la razionalità. Una quantità da sola resta generica. Una quantità “misurata” dà una reale visione e concretezza al fenomeno.
Se la matematica dà la concretezza dei numeri, la storia permette il confronto con il passato. Prendo atto che come noi anche nella società ogni giorno cambia qualcosa ed è possibile, anzi probabile, che spesso questi cambiamenti siano tumultuosi e radicali. Si tratta di cambiamenti di modi di vita, e, probabilmente, si accompagnano certamente anche alla morte di un certo mondo con cui siamo cresciuti e abbiamo imparato a coesistere, e qui magari ci troviamo pure bene e tranquilli.
Ma i fatti non sono mai “nuovi”. La storia, a ben conoscerla, dà una serie molto lun
ga di confronti sconvolgenti: l’arrivo del cristianesimo ha comportato la scomparsa del paganesimo, quel culto degli dei su cui Roma aveva religiosamente fondato la sua identità. Quando Giuliano l’apostata prova a riportare indietro il loro culto fallisce. L’arrivo dei barbari dal quarto secolo ha creato un’Europa nuova, anche se Agostino ha saputo prender atto che con il sacco di Roma nel 410 d.C. opera di Alarico non era giunta la “fine del mondo”, ma solo di “quel” mondo. E qui potremmo andare avanti percorrendo tutti i passaggi cruciali della storia dell’Europa.
Conoscere la storia significa comprendere che se qualcosa muore, non si crea il vuoto, si accompagna pure la nascita e la crescita di qualcosa di nuovo. Saper prevedere e gestire la novità non è capacità da poco, vuol dire crescere come “persone di cambiamento e in cambiamento”.
Compito, sia ben chiaro, difficilissimo, in cui magari pochi riescono ad eccellere, ma nella formazione della persona, nei limiti oggettivi che ci sono dati, non è un compito al quale la scuola può sottrarsi.
Torniamo a fare politica? Sì, perché la scuola è un luogo politico per eccellenza, ma è anche un luogo in cui si pone la possibilità di creare felicità, o almeno diminuire la pena. (Antonio Boscato)
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