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Valutazione ed educazione storica
di Antonio Boscato
Partiamo dall’esperienza
Valutazione è la parola forse più usata nel linguaggio professionale, ma è allo stesso tempo un termine carico di incertezza e di ambiguità. Esemplifichiamo: due insegnanti della stessa materia in classi parallele valuteranno gli alunni allo stesso modo? Oppure due giudici posti di fronte allo stesso reato?
Accettiamo che ogni momento valutativo mira a “determinare il valore di cose o fatti di cui si debba tenere conto ai fini di un giudizio o di una decisione, di una classifica o graduatoria”, ora, per quanto riguarda il compito valutativo dell'insegnante lo riferisco a un piano generale che è fatto di corrispondenza oggettiva (possedere o non possedere determinate conoscenze) e di soggettività (le attese che io pongo in fatto di comprensione, approfondimento ecc. da parte di colui/coloro cui debbo assegnare una valutazione). La valutazione nel campo educativo, per il fatto che è soprattutto risposta a delle attese, è caratterizzata da una grande soggettività.
Il problema per l’educazione storica, a differenza, per esempio della matematica, è che la stessa materia è soggettiva. Intanto esiste la “Storia”? O esistono tante “Storie” (della musica, del costume, del teatro, delle religioni…)? La materia “storia” richiede per la sua stessa natura un taglio, una prospettiva.
Saper valutare nella materia storia presuppone il fatto che si conosca lo scopo per cui la si insegna. Sappiamo che l’educazione costruisce la persona. Qual è l’apporto specifico che l’educazione storica porta?
Di tutte le forme con cui si può rivestire la storia la “narrativa” è la più noiosa. O la più superficiale. Perché la storia è tutt’altra cosa che il racconto degli avvenimenti. La storia non è assolutamente il solo passato. Il passato è solamente una parte della storia, la storia si impadronisce del passato, spinge il passato sul presente e li spinge entrambi nell’avvenire. Il passato spiega l’avvenire. Solo una conoscenza sul passato assieme a una riflessione che scaturisca da essa può dare input per l’avvenire.
Infine, ogni dato storico è interpretato e interpretabile. Che ci siano state le crociate è sicuramente un dato storico oggettivo, ma lo spazio e l’interpretazione che io assegno allo svolgersi del loro insieme nel percorso storico che propongo agli alunni è del tutto soggettivo, e lo stesso apprendimento, se limitato ai puri dati oggettivi (nomi, date, svolgimento di un fatto…), è minimo in vista di quella formazione che io perseguo attraverso l’educazione storica. Come diceva Aristotele, l’uomo è un essere politico: di conseguenza deve imparare a vivere in società e lo deve fare anche, ma forse soprattutto, attraverso la storia.
Rimane alla base un problema di scelta che io, docente, ho fatto di quei dati oggettivi trascurandone altri. Si rifletta quanto questo diventa importante quando si approntano delle unità di apprendimento o attività di laboratorio: perché ho scelto quel periodo, quel succedersi di avvenimenti, ho impostato quel lavoro?
La formazione storica guida gli alunni a un processo di interpretazione del fatto storico e, pertanto, la valutazione si pone come obiettivo un giudizio, più che sulla conoscenza dei dati, sulla progressiva maturazione di una capacità interpretativa.
È chiaro che i limiti di spazio qui assegnati limitano la possibilità di sviluppare maggiormente questa riflessione, cerco pertanto di calare nella prassi della didattica la premessa.
Cosa valutare?
Considero l'educazione storica come avviamento alla comprensione, in tempi più o meno lontani e in ambiti culturali e geografico/ambientali diversi, di come si sia costruita la complessità del vivere umano presente oggi.
Il materiale su cui l'insegnante gioca è difficile ma sta alle sue capacità intellettuali e culturali “volare alto” ma a un livello di mediazione tale che l’alunno nel contesto dei livelli presenti nella classe, partendo dalla curiosità, venga interessato e coinvolto, giungendo, successivamente, a scoperte personali che lo motivano a trovare risposte. Ecco perché, prima di dare un valore all'alunno, bisognerebbe dare una valutazione all'insegnante.
Valuto come l'alunno, confrontando realtà storiche diverse, apprenda responsabilità nelle diverse situazioni di vita. L’alunno, allo stesso tempo, affronta problematiche morali in una prospettiva storica, ad esempio che cosa è la dignità dell’uomo, come si è costruita nel tempo e nella coscienza anche attraverso il confronto con persone, avvenimenti significativi ed esperienze del passato.
Valuto se l’alunno è capace di “confrontare” la propria esperienza di vita con il vissuto del passato, soprattutto cogliendo abitudini quotidiane attraverso la comprensione di un ambiente architettonico, urbanistico, geografico.
Considero a livello di accettabilità l’interesse e la curiosità, valuto l’eccellenza se l'alunno sa esprimere in modo personale un giudizio assegnando un valore o confronta in modo valutativo e interpretativo diverse epoche storiche e utilizza le informazioni ottenute dalle fonti storiche per fare inferenze. Vi è poi una serie di sfumature qualitativamente diverse ad esempio nel porsi, a partire dalle conoscenze storiche, degli interrogativi sulle grandi questioni del vivere, muovendo dai diversi vissuti personali.
Come valutare?
Ogni sviluppo per qualsiasi materia si fonda su un database di conoscenze da cui iniziare per successive e progressive elaborazioni. Il docente di storia può controllare la conoscenza di questa base attraverso le cosiddette prove oggettive, richiederisposte a determinate domande: chi, che cosa ha fatto/è successo, dove, quando, perché…
Con queste domande noi individuiamo un fatto (che cosa è la storia se non un succedersi si fatti?) e lo collochiamo in un certo tempo (quando?), individuiamo degli agenti (chi è stato che…; che cosa ha provocato ciò…)e indichiamo agli alunni le conseguenze. L’accertamento di ciò dovrebbe essere semplice da valutare. Se, tuttavia, diamo per scontato che per questo sono da usare le “prove oggettive”, facilmente giungiamo alla convinzione che esse, pur necessarie per verificare il livello di accettabilità (perché senza una base di conoscenze non si va da nessuna parte), sono limitative ai fini della valutazione di un processo di apprendimento.
Del resto, se vogliamo definire cos'è una prova “oggettiva” la risposta è problematica.
Se io chiedo di precisare anche una semplice data, già questa presuppone una scelta tra innumerevoli altre possibili domande (il 14 luglio 1789 è una data così importante? È poi importante oggettivamente o soltanto simbolicamente la presa della Bastiglia?). Una risposta errata indica il non aver studiato, non essersi impegnato, non aver provato interesse per l’argomento (e non sono la stessa cosa), ma se la domanda è più complessa devo valutare allo stesso tempo: a) la formulazione della mia domanda; b) le suggestioni che io ho fornito nella spiegazione o nel laboratorio; c) devo interpretare sia le risposte “corrette” (o che considero tali) che le insufficienti (a meno di non intendere la prova oggettiva alla stessa stregua di un quiz!).
Tuttavia, alla fine non si può prescindere dalla valutazione: se l'alunno fa scena muta, se risponde parzialmente, se risponde in maniera approfondita… e io devo prima di tutto valutare non tanto la risposta ma quanto di comprensione storica c'è nella risposta, in sostanza la qualità della risposta.
Le UA, come sono costruite esemplarmente nel fascicolo didattico della rivista, si propongono come momento privilegiato di valutazione perché io posso focalizzare gli obiettivi, il materiale su cui lavorare, le attese che pongo, in vista di determinate risposte che non sono scontate o portate a livello minimo ma sono riscontri individuali su aspetti ben precisi che precedentemente ho evidenziato come qualitativamente rilevanti. È soprattutto attraverso delle attività laboratoriali che mi rendo conto se e in che misura l'alunno matura nel processo di interiorizzazione di alcuni processi, capacità e abilità specifiche.
Il problema, dicevo prima, è quanto in alto si possa volare avendo come obiettivi non tanto delle risposte più o meno omogenee dettate soltanto dalla quantità di studio dedicato a un capitolo e dalla capacità di memorizzazione quanto piuttosto da una comprensione esperienziale.
La valutazione, al di là di designazione di un “voto” alle tradizionali prove oggettive, i cui limiti si possono facilmente intuire, è assai problematica se non si instaura nella classe una capacità e attitudine al dialogo (e non solo quindi, interventi per alzata di mano) e all’ascolto, qualità fondamentali in tutti i momenti qualificanti costruttivi, ma particolarmente utili nei momenti più impegnativi come l'ora di storia è senz'altro. È prioritario quindi valutare l'attenzione, l'ascolto, da cui dipende principalmente anche la qualità della risposta.
Quando valutare?
Per valutare un processo complesso coinvolgente diversi aspetti dell’apprendimento, debbo operare delle sintesi e non posso prescindere dal prendermi un arco di tempo necessariamente ampio. L’arco temporale del quadrimestre rende possibile maturare delle valutazioni sufficientemente motivate.
La valutazione è un’attività permanente e costante con dei momenti ufficiali (che sono le verifiche), che non la esauriscono.
In un clima dialogico (ma questo ovviamente non è esclusivo della storia) ogni momento diventa occasione di “verifica”. Nel momento della “spiegazione” valuto la capacità degli alunni di fare domande e la “qualità” di queste domande (quanto spesso esse sono banali?).
Ovviamente l’insieme delle risposte è significativamente indicativo della qualità dell’insegnamento, dell’apprendimento e della riflessione. Una buona occasione di valutazione sono i ragionamenti che discendono da “questions” cosiddette “impossibili”: “Secondo te, cosa sarebbe successo se in quella battaglia avesse vinto…; Immagina di essere quel personaggio in quel periodo…”.Si stimolano allo stesso tempo la fantasia e la capacità creativa tipiche del preadolescente qualità che sono punto di partenza per l’ulteriore percorso interpretativo che riteniamo compito precipuo dell’educazione storica.
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