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Proviamo a guardare dentro di noi.
Scopriamo subito che noi non siamo sempre buoni e, naturalmente, ci mancherebbe altro, sempre cattivi. Siamo un po’ di qua e un po' di là a seconda del momento e delle circostanze e di quello che ci gira intorno.
Si può essere buoni o cattivi nelle azioni ma anche nei giudizi. Qui bisogna stare attenti perché azioni buone/cattive le facciamo quando capita, ma le opinioni, i giudizi che noi ci mettiamo dentro ogni momento sono quelli che orientano il nostro pensiero e da esso discende anche il nostro comportamento. Sono soprattutto queste che ci fanno diventare veramente buoni/cattivi nella nostra vita.
Se un nostro compagno fa qualcosa che merita di essere punito il nostro giudizio non scaturisce solo da quello che ha fatto realmente, ma anche da rapporto che ci lega con lui. Se è il mio compagno di banco con cui mi trovo al pomeriggio per qualche scappatella dirò che la punizione poteva anche essere più leggera che l'insegnante e stato troppo punitivo magari ce l'aveva un po' con lui…; al contrario se verso il colpevole nutro un po' di antipatia, la mia reazione sarà: se l'è cercata, ben gli sta così impara...
Vediamo cosa sta succedendo nel nostro tempo. Ci sono centinaia di migliaia di persone che stanno arrivando qui da noi fuggendo da condizioni di vita che poco hanno di umano. Arrivano in tanti, arrivano non previsti, senza nulla alle spalle, e questo è sicuramente un problema, di cui devono farsi carico in qualche modo le popolazioni e le autorità dei luoghi dove arrivano.
Quali sono i due modi di giudicare questo imprevisto fatto storico da parte di tanta gente?
Ci sono quelli che di questi arrivati assolutamente non ne vogliono sapere, se potessero li farebbero tornare immediatamente indietro e, dal momento che questo non è possibile, continuano ogni giorno a inveire contro la disavventura. Sono preoccupati per le ricadute che potrebbero avere sulla propria condizione di vita, sul proprio benessere, sulla sicurezza, sui costi economici che tutti sono un po’ chiamati a pagare…
Ma ci sono altri invece che si fanno toccare dalle carico di sofferenza di storia di sofferenza che queste persone si portano dietro e, anche se ciò rappresenta dei costi, tuttavia non rifiutano l’accoglienza e si danno da fare per offrire degli aiuti, cioè per farsi carico in prima persona di un progetto di tolleranza e di integrazione.
Questo è un esempio con cui lo stesso fatto può essere visto da due punti di vista contrapposti. Sono i giudizi a cui una persona giunge quando è chiamata a affrontare ciò che capita di vedere: un costo economico da pagare oppure il valore della solidarietà che ci fa prendere coscienza che, dal momento che siamo uomini, abbiamo tutti farci carico di alcuni doveri verso chi è in estremo bisogno.
È come se fossimo degli spettatori di uno stadio che assistono alle combattuto incontro tra due squadre. Dal momento che si è sullo stadio è probabile che si appartenga a una categoria dei tifosi. Per chi facciamo il tifo?
Come la mettiamo con la responsabilità delle nostre azioni?
Si è visto che un’azione comporta sempre delle conseguenze. Attenzione, anche chiacchierare alle spalle di un amico è un’azione! Un’azione non è soltanto quello che modifica degli oggetti, ma modifica anche delle situazioni.
Quando a scuola uno viene interrogato cose gli si chiede? Una cosa banale: di rispondere. Ma non può rispondere a casaccio con la prima cosa che le viene in mente. Deve rispondere con precisione alla domanda. Diciamo che deve rispondere in modo adeguato.
Così, se uno viene chiamato a testimoniare in tribunale alle domande degli avvocati deve essere consapevole che quello che lui dice può avere delle conseguenze per chi è accusato.
Poiché egli risponde è responsabile di quello che dice, tanto è vero che se viene trovato a mentire quello che viene condannato è pure lui.
Se una compie deliberatamente e consapevolmente un’azione e questa alle conseguenze, egli è responsabile, cioè “risponde” (ecco il significato etimologico da cui prende origine il sostantivo dal latino “respondere”) delle conseguenze delle sue azioni. Ma questo non vale solo in caso di azioni cattive, vale anche in caso di azioni buone (anche se di solito, quando si parla di responsabilità si pensa a fatti negativi).
Un bambino piccolo, correndo per la stanza, rovescia e rompe un vaso pregiato. Non è che la mamma fa salti di gioia, ma non pensa di punire il bambino perché è vero che egli è stato la causa dell’incidente domestico, ma non ne è responsabile perché, intanto, non ha fatto deliberatamente e poi non ha le capacità di autocontrollo che lo avrebbero reso responsabile dell’avvenimento.
Cosa capita fra noi? Quando siamo chiamati a rispondere delle nostre azioni, per prima cosa cerchiamo di scaricare la colpa su altri (“è stato lui che ha cominciato…”), Oppure cerchiamo delle scuse (“sì, è vero però… Non volevo… Non pensavo…”), Oppure cerchiamo degli alibi (“sono stato costretto dalle circostanze a comportarmi in questo modo…, Ma questo lo fano tutti…”).
Una ricerca (storica) interessante sarebbe cercare e trovare qualcuno che dopo un fattaccio ammetta: sì è vero, è colpa mia, e sono pronto a pagare le conseguenze!
Una persona, per certi aspetti, la riteniamo matura se sa essere responsabile e per questo alla fine l’apprezziamo.
Responsabile, quindi, vuol dire anche capace di realizzare i propri impegni presi di fronte a se stesso e agli altri: rispondere con l’attuazione dell’impegni che uno si è preso. Banalmente, se dopo aver visto i risultati della prova negativa decido che qualcosa deve essere cambiato, essere responsabili vuol dire ad esempio non solo prendere atto di quello che si è capito ma realizzare i necessari cambiamenti.
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