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“Portano via il lavoro ai nostri giovani”. È l’accusa più debole. Ad oggi sono innumerevoli gli “arrivati” da anni che fanno lavori che nessun italiano vuole fare. Innumerevoli sono poi le aziende che cercano manodopera specializzata e non trovano risposta. Forse i “giovani italiani” vorrebbero fare “solo” un certo tipo di lavoro. Ma non c’è lavoro! L’Italia non è un piccolo paese, come l’Olanda, ma è un territorio grande in buona parte spopolato nelle montagne del centro e del sud. Esiste un enorme patrimonio abitativo ed economico, praticamente oggi abbandonato, che avrebbe bisogno di essere ripreso, ci sono attività lavorative trascurate o rifiutate che vanno riattivate, dedicando ad esse l’opportuna manodopera.
Infine: il fenomeno non è economicamente sostenibile. È l’ultima fra le obiezioni espresse che qui vorrei discutere. Intanto osservo che da quello che si vede una buona parte dell’impegno necessario è sostenuto dal volontariato, da sempre rivelatosi una nostra grande risorsa. C’è poi un contributo che viene dalla Comunità Europea. Non tutto cioè pesa sulle spalle della gente comune.
L’osservazione ha un fondamento se immaginiamo il costo economico di questa massa di persone permanentemente per anni a carico della comunità, ma questo deve essere assolutamente superato nel medio termine con un grande progetto di integrazione e inserimento, che ripaghi i sacrifici che ora, a diverse misura non così drammatica come strumentalmente si sostiene, tutti stiamo sostenendo. È un compito progettuale che non spetta solo agli enti alle istituzioni, ma deve esprimersi in un progetto a cui partecipiamo un po’ tutti (e a dire il vero questo, in parte, qua e là ha avuto inizio): scuola, corsi di formazione, esperienze di inserimento e di collaborazione... È additato l’esempio di Riace, un borgo calabrese che ha ripreso vita grazie al contributo di una immigrazione recente. L’essere attivamente presenti nei paesi con attività di pulizia e manutenzione permette l’incontro con la gente del posto e il superamento di pregiudizi.
La grande scommessa per l’Italia soprattutto è trasformare questo problema (perché tale effettivamente lo è) in una grande risorsa, un’opportunità.
E non è che questa sia un’opzione; è una necessità: tutti i dati demografici dicono che la popolazione italiana sta rapidamente invecchiando, si fanno sempre meno figli e questo non permette il pieno ricambio generazionale non solo nel lavoro (chi pagherà altrimenti le pensioni ai cinquantenni d’oggi?) ma anche nella crescita della comunità. L’Italia ha bisogno d’essere ri-costruita, bonificata, ha bisogno di nuova manodopera, ma soprattutto ha bisogno di svecchiarsi nell’incontro con nuove culture. Io che, fortunatamente, ho la possibilità di aver dedicato questi ultimi anni a girare il mondo, mi rendo conto che cosa significhi incontrare gente con costumi, atteggiamenti diversi dai nostri abituali. Ne ritorno sempre psicologicamente arricchito e ricaricato.
È una scommessa culturale fondamentale, su cui veramente giochiamo il nostro futuro. Questo non significa, sia ben chiaro, che non si debba limitare, controllare le entrate. Io qui tenterei la mia personale conclusione: dobbiamo avere paura di fronte a quello che avviene oggi?
No, dobbiamo invece avere coscienza che il presente non ce lo scegliamo, ogni età ha avuto il suo presente spesso drammatico. A noi è capitato questo, possiamo però indirizzarlo e costruirlo. Il nostro tempo è segnato anch’esso, come tanti altri, da cambiamenti giustamente definiti epocali. Li possiamo rifiutare, magari cambiando governo o scegliendo questo o quel partito politico? La storia dice di no. Nessuno finora ha ipotizzato (per fortuna!) che tutto si può fermare sparando sulle navi o immaginando di non salvare i naufraghi che stanno per annegare.
Possiamo però analizzare le paure individuando risposte e risorse. La paura appare sempre nei grandi cambiamenti nell’età di ogni persona e noi sappiamo che dobbiamo farvi fronte, trovando energie, forza, coraggio, non fuggendo. Questo vale anche per una Nazione. La risposta perciò è non dobbiamo avere paura ma siamo di fronte a un problema che deve avere una comprensione, una accettazione, una individuazione di soluzioni a breve e a più lungo termine.
Questo è compito di chi è responsabile, ma individuare e collaborare, con il realismo di idee e proposte, è compito di tutti. Ecco perché, riprendendo dall’inizio, questo particolare momento storico ha un importante collegamento con la formazione e l’educazione delle coscienze. È quindi un problema educativo.
Antonio Boscato
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