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Dal momento che tutta l’estate è stata segnata dalle tragedie dell’immigrazione dal Nord Africa e ora anche dall’area balcanica è molto probabile che esse si presenteranno pure nella scuola alla ripresa dell’anno scolastico.
L’occasione è che un alunno riporti le voci raccolte a casa o da uno dei tanti frequenti talk show televisivi: “è in atto una invasione, quelli che arrivano sono clandestini; noi italiani li dobbiamo mantenere; mentre ci sono italiani che non arrivano a fine mese, questi si beccano più di mille euro a non far niente, risiedono in alberghi da quattro stelle, ma neppure possono lavorare altrimenti portano via il lavoro agli italiani”.
Sono argomenti questi che abbiamo incontrato possiamo dire ogni giorno ed è quindi probabile che con essi anche i ragazzi si confrontino.
La scuola, o meglio l’insegnante interpellato, come può affrontare questa situazione?
Può ricorrere a generici appelli alla tolleranza, al senso di solidarietà, ricordare anche i milioni di italiani una volta emigranti in tutto il mondo, il valore dell’accoglienza… E qui va tutto benissimo, ma non è sufficiente perché gli argomenti, sentiti a casa e in giro, emotivamente attraggono molto di più.
E se la scuola approfittasse per dare una risposta veramente culturale alle, chiamiamole, istanze che emergono? Proviamo a delineare un percorso.
Si ammette che gli avvenimenti rappresentano sicuramente un problema a cui non si è e non si poteva essere preparati; impreparati lo sono stati tutti: governo, pubbliche istituzioni, enti… Nei numeri e nelle modalità di concretizzazione sono un fatto nuovo, ben presente nel passato storico dell’intera umanità ma che, evidentemente, non poteva essere previsto oggi in tali forme.
Agli alunni va spiegato che ogni problema porta con sé il concetto della necessità o della possibilità di una soluzione. Ogni giorno noi ci facciamo delle domande e quotidianamente proviamo a dare delle risposte, magari non adeguate, ma le migliori possibili nel senso della ragionevolezza.
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