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di Antonio Boscato

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Domanda in apparenza insolita, visto che la "storia", quella che indichiamo con questo termine, cioè la materia scolastica, a scuola c'è sempre stata, con un programma prefissato, determinate ore di lezione, manuale, obiettivi e finalità di apprendimento. Eppure, tale domanda ha una sua ragione.

 

Intanto riflettiamo sulle due parole: storia e nuovi saperi.

Pensiamo in quanti contesti usiamo la parola storia: … raccontami una storia…, è una vecchia storia…, quante storie!..., la storia della mia famiglia…

L’uso così quotidiano del termine ci dice che la “storia” è una fondamentale esperienza della nostra vita. Inoltre, nulla è più complesso della storia: sia che si parli della storia della propria vita che di quella di un popolo o di una nazione, essa si svolge in un intreccio di tantissimi elementi interagenti.

Sebbene crediamo di sapere benissimo che cos’è la Storia, quando ne parliamo come “materia scolastica” e ci viene chiesto di darne una precisa definizione ci troviamo in imbarazzo: È quella che si studia a scuola con il libro di testo… È la storia d’Italia, dell’Europa, della civiltà europea, dei grandi avvenimenti che l’hanno segnata cambiandone il volto… Ma non c’è solo l’Europa, ci sono altri continenti… Storia fatta da persone, da movimenti... c'entrano anche la geografia, l'economia... Pertanto, la Storia che si studia a scuola è tante cose insieme, tutte intersecantesi per dare corpo a una periodizzazione che si sviluppa in un tempo, (che non è il tempo della storia) e, soprattutto, per temi che danno il titolo ai vari capitoli: la storia della Grecia, di Roma, il Sacro romano Impero, la società feudale, le crociate, le nuove scoperte geografiche, la rivoluzione industriale... e così via fino ad arrivare (possibilmente) ai nostri giorni. Si tratta di millenni, di storia appunto, che nei testi vengono suddivisi in capitoli che, a loro volta si articolano in sezioni, ulteriormente poi in unità a seconda del taglio del manuale adottato.

In conclusione, ci verrebbe da dire che, necessariamente, noi usiamo con la parola “Storia” quasi un’astrazione, perché la storia che “facciamo” a scuola è l’insieme di tante storie di persone, di istituzioni politiche, religiose, economiche , di avvenimenti ciascuno dei quali ha una genesi propria ma è allo stesso tempo incomprensibile se non collegato ad altri. Tuttavia, raccontare la storia come un continuum, senza aprire collegamenti e utili approfondimenti, è pressoché l'unico modo di insegnarla e farla studiare nella quotidiana pratica didattica, per cui provvisoriamente consideriamo che non ci sono grandi elementi per parlare di storia come nuovo sapere.

Quale “nuovo sapere” deve insegnare la storia?

Cosa significa esattamente il termine nuovi saperi? In ambito scolastico lo utilizziamo spesso, a volte in modo superficiale, come nell’espressione: “nuove competenze per nuovi saperi”.

Se cerchiamo nei dizionari la definizione del termine “nuovi saperi”, probabilmente otterremmo come risposta “maggiori” o anche “nuove” capacità, abilità di utilizzare i nuovi strumenti che oggi si impongono come necessari in qualsiasi campo di studio e di lavoro. Potremmo trovare il significato di ampliamento e maggiore approfondimento delle conoscenze tradizionali in vista della maggiore complessità delle operazioni oggi richieste.

Assegniamo, invece, alla parola sapere, accanto all'indicazione dell'insieme delle cose che si sanno, il significato esistenziale di un “modo adeguato” di essere nel mondo e di vivere la realtà. In questo caso, il termine assume un significato più formativo e, collegandolo alla didattica, attribuiamo ad esso un ruolo di recupero e ampliamento di possibilità e qualità di vita, al tempo stesso nuove modalità di conoscenza. In tale modo si aprono nuove prospettive e domande in campo teorico ma, soprattutto, quale la pratica dei nuovi saperi come appena intesi, da parte degli alunni?

Ponendo la domanda su quale sia lo specifico apporto che la storia, intesa come “nuovo sapere”, fornisce alla complessa formazione del preadolescente, una prima risposta discende dalla classica definizione per cui essa è fondamentalmente “magistra vitae”. Attraverso la conoscenza del passato in vari modi interpretiamo il presente e possiamo intuire e prefigurarci il futuro. È un po’ quello che premettono molti manuali nelle prime pagine. Ovviamente non possiamo che concordare con tale visione, ma come può essere essa maestra, se è insegnata come di consueto?

Le attestazioni in tal senso appaiono suggestive e allo stesso tempo astratte, non molto applicabili nel contesto quotidiano e, a ben guardare, non dimostrabili neppure in campo teorico. Pertanto, rimane non risolto il problema di come addestrare l’alunno a “utilizzare” la storia come propria maestra di vita.

Le conoscenze storiche dovrebbero diventare guida per le esperienze storiche. Proprio perché la scuola ha anzitutto aspettative formative, la Storia non può non avere dei rapporti con il presente. Risposte al problema indicato individuano nello specifico cammino di apprendimento di conoscenze storiche l'opportunità di offrire spunti operativi che rendano “vissuto” e “partecipato” lo studio della materia. È quello che può offrire l'apprendimento della materia in chiave operativa o, meglio, laboratoriale.

Ora, un nuovo “sapere storico” è definibile se rende possibile agli alunni diventare dei piccoli storici, il che avviene se e quando sono loro offerte concrete, anche se limitate, esperienze di praticare la storia. In altre parole: l'addestramento a organizzare il proprio pensiero e utilizzare alcuni strumenti con i quali apprendere a ricostruire i fatti, condurre dei collegamenti, esprimere giudizi, riconoscere elementi del presente riconducibili al passato o che hanno con esso corrispondenze.

Esemplifichiamo. Se poniamo a un alunno: la domanda “riconosci i segni della storia presenti nella tua città o nel tuo paese”, ci proponiamo di far scoprire o ri-scoprire il passato (quello che il ragazzo avverte come vecchio), assegnando ad esso un significato e un valore. Questo tipo di esercitazione è possibile solo in una didattica della storia di tipo laboratoriale, la cui pratica soffre di pesanti limitazioni, dovute essenzialmente alla “consuetudine” con cui tradizionalmente è applicato l'insegnamento e lo svolgimento della storia.

Alcune problematiche.

Esaminiamo anzitutto gli ostacoli. Le conoscenze storiche “scolastiche” degli alunni provengono prevalentemente dallo studio passivo del libro di testo, guidato dall'insegnante. Questo è imposto da precisi limiti: il monte orario assegnato alla materia non supera le 60-70 ore annuali, l'orario è organizzato in modo rigido, non flessibile.

Spesso non è possibile svolgere tutto il programma prefissato.

Molti alunni di classi e scuole diverse dichiarano che il libro di testo “non è stato fatto tutto, perché non si è fatto in tempo a finirlo”. Inoltre, molto del tempo assegnato alla storia è utilizzato nelle verifiche che si svolgono o con test (domande aperte e chiuse) oppure con le tradizionali interrogazioni. Esse, però non sono così trascurabili, come si potrebbe pensare, perché, durante le interrogazioni, se si riesce a coinvolgere l’intera classe, emergono collegamenti, riflessioni, utili all’approfondimento del sapere manualistico.

L’insegnante ha a disposizione un manuale, da sempre punto di riferimento per ogni tipo di didattica.

È possibile prescindere dal manuale? Evidentemente no. La questione è: come servirsene, quale ruolo assegnargli? La scelta per i manuali di storia è ampia, ma in essi la ripartizione del percorso storico è pressoché identica, dettata dai programmi ministeriali: i periodi storici e i grandi avvenimenti sviluppati in ciascuno sono perfettamente corrispondenti. Ogni manuale ha proprie caratteristiche e punti di forza, ma in tutti lo svolgimento del percorso storico è lineare, riportando tutti lo stesso susseguirsi degli avvenimenti, sia pure con diverse vedute.

Ora, la mole crescente dei contenuti storici e i limiti temporali obbligano i docenti a scelte circoscritte (insomma: non ci si scappa!), invitandoli a costruire percorsi tradizionali, rendendo arduo e problematico tagliare argomenti, a volte sentiti come imprescindibili. Il manuale aggiunge poi la ricchezza del materiale pre-impostato per le verifiche e ciò va evidentemente a vantaggio della fatica dell'insegnante che in un certo senso è dispensato dal doverle progettare, d'altro canto ciò rafforza il percorso didattico dettato dal manuale, costruendo esso, e non il docente, gli obiettivi formativi.

L’alunno e i contenuti storici

Oggi tutti concordano che i modelli educativi rappresentati dalla tradizione non attraggono e nella crisi attuale ci si può chiedere quale contenuto possa avere la definizione “storia maestra di vita”. Il passato serve ancora a formare dei “bravi” cittadini italiani con lo spirito con cui si insegnava il Risorgimento (“Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti…” o “La canzone del Piave”)? Non è forse insufficiente riferisi alla “Civiltà Europea” in presenza di una Europa multiculturale e multirazziale che nella storia studiata non abbiamo mai conosciuto? Solo un esempio tra i tanti: la nascita e lo sviluppo dell’Islam, come cultura e società sono appena accennati nei tradizionali manuali, ma il tema richiede ben altro approfondimento dal momento che in Europa la religione islamica è ben presente e richiama problemi.

Il rapporto tra studente e contenuti storici appresi in ambito scolastico è vario. Conducendo indagini con più alunni tutti capaci e attivi, dal rendimento più che buono nelle varie materie, è stato verificato in tutti un apprendimento mnemonico: ricordano molto bene fatti e nomi, collocano nel tempo un insieme di avvenimenti, esprimono curiosità e anche partecipazione, ma allo stesso tempo giudicano la storia come “noiosa” e la studiano per “senso di dovere”.

In conclusione, la storia si apprende ma non appassiona. Impegno nell’attenzione in classe e nello studio a casa, interesse e curiosità, che non mancano, sono  da considerarsi un punto di partenza, non di arrivo: come passare  ad un rapporto con la materia più formativo e rispondente ai bisogni degli alunni? Esperienze didattiche innovative possono condurre ad una partecipazione attiva e anche creativa.

Ed ecco la domanda centrale: le due modalità di apprendere (conoscenza ed esperienza ) sono inconciliabili per il tempo che entrambe richiedono? Con sincerità si sarebbe portati ad una risposta affermativa. Non è possibile fare a meno delle conoscenze di base e non c’è tempo (e manca l’addestramento dell’insegnante o la disponibilità a mettere in discussione metodi collaudati di insegnamento) per indirizzi che “sperimentino” (parola impegnativa che suppone ricerca, fantasia, adattamento, verifica) un nuovo sapere storico adeguato al tempo e al bisogno formativo.

D’altra parte, il rapporto a prima vista difficoltoso tra trasmissione delle conoscenze e loro sperimentazione non si limita alla materia storia, ma appartiene, a tutte. Un recupero, almeno nel nostro campo, come può essere effettuato? La prima possibilità è l’attivazione da parte della scuola di un laboratorio storico come attività integrativa di arricchimento formativo e culturale, risorse umane e finanziarie permettendo. È però probabile che gruppi numericamente modesti possano partecipare ad esperienze di questo tipo: appare problematico far ritornare il pomeriggio a scuola o trattenervi oltre i limiti d’obbligo alunni sempre più oberati di impegni. Eppure parrebbe il solo modo per dare esecuzione alla ricchezza degli spunti che, attraverso le UA, mensilmente questa rivista mette a disposizione.

Ma spingiamoci in un terreno più ardito: lo studio della storia come esecuzione di un progetto di “ammaestramento” (historia magistra vitae!) dovrà forse prevedere una de-strutturazione e una ri-creazione con modalità organizzative e didattiche del tutto innovative. Qualcuno sa dire se ciò è stato tentato o anche solo immaginato?