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ASCOLTARE-RIFLETTERE-RISPONDERE-DIALOGARE

 

 

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Questo volume, anche se non ne ha la forma, è un racconto della genesi e dello sviluppo di un lavoro di gruppo.

 

C'è un dirigente scolastico che, ormai da parecchi anni è, con brutta espressione, “in quie­scenza”, il quale accetta di fare da guida per due anni scolastici a vari gruppi di ragazzini di quinta elementare, disegnando un percorso di esplorazione di esperienze formative forse insolito nella scuola primaria, almeno a fronte delle curriculari materie scolastiche, anche se, navigando su In­ternet, si rintracciano, soprattutto nelle classi quinte della scuola primaria, diverse attivazioni di esperienze formative e innovative.

Nei suoi propositi questo ex-dirigente non intende come prioritario fornire nuovi contenuti, ma sperimentare la valenza e incisività di alcuni suggerimenti formativi, costruiti principalmente con lo strumento del dialogo, dando ad essi corpo attingendo dagli spunti, riflessioni, intuizioni, prove­nienti dai propri allievi.

Propositi e modo di procedere, focalizzanti l’attività, si realizzano all'interno di un Laborato­rio, dove si costrui­scono contenuti ma soprattutto si dà concretezza ad espe­rien­ze.

In conclu­sione, il presente materiale, pensato come una possibile guida per un nuovo percorso, è precisa­mente il racconto dell’elaborazione e dello sviluppo di tale laborato­rio.

Ciò si comprende e si acquisisce più facilmente qualora si tenga presente che i contenuti qui formalizzati sono stati costruiti non all'interno del classico rapporto gerarchico maestro-discente, ma in un contesto quasi paritario, nel quale gli alunni partecipanti, con la qualità delle loro risposte e la partecipazione, suggerivano alla guida quali strade meritavano di essere più percorse.

Non era mai trascurato, era anzi tenuto ben presente, dove si doveva arrivare: attivare e migliorare le capacità di ascolto, di comprensione, di approfondimento, di in­terventopersonale di ciascun partecipante. Da qui il titolo di questa introduzione e, a ben vedere, di tutto il volume.

Il modello più interessante è fornito dalla bottega dell'artigiano, che, nel pro­cedere dell'addestramento, prepara i propri apprendisti a compiti più impegnativi, riconoscendo ad essi responsabilità, parti da ese­guire, suggerimenti conseguenti. Alla fine, qualcosa del prodotto appartiene espressamente all'al­lievo, anche se il maestro di bottega aggiunge i suoi perfezionamenti e la firma di garanzia.

Proprio perché risente del desiderio di essere racconto, il contenuto ha un suo sviluppo logico coerente, riorganizzato successivamente ma conservando nello stile e nel linguaggio una certa spontaneità. Proprio per questo, il volume può essere letto direttamente da un alunno per lo stile piano, che esclude qualsiasi discorso specialistico e nel quale egli si riconosce, o da un insegnante che può trovarvi qualche suggerimento e spunto per provare la propria attività propriamente formativa.

Il fondamento culturale dell'esperimento

Ogni vera educazione raggiunge il massimo dei suoi frutti quando può svilupparsi all'interno di un vero e autentico dialogo non anonimo, di gruppo, ma possibilmente interpersonale, richiedendo una sufficiente conoscenza e fiducia tra i partecipanti.

È questa la convinzione di partenza che spinge a mettere alla prova alcune intuizioni. Se il proposito è realizzabile, in quali tempi, occasioni, è da definire, ma lo si è voluto sperimentare.

Se accettiamo il principio che fulcro e finalità di ogni processo formativo è la qualità del “conoscere se stessi”, attraverso anche opportunità e suggerimenti provenienti dalla realtà stessa e dell'apporto di soggetti con cui si è in relazione, ritengo che tale conoscenza non si realizzi in una generica individuazione delle proprie capacità e attitudini, ma miri a fare scoprire l'originalità di ciascun individuo all'in­terno di un contesto storico e del misurarsi con esso.

Conoscere se stessi è, pertanto, misurarsi nel presente in modo consapevole e critico.

Questo cammino di autocoscienza non ha una conclusione in qualche fase della vita, è un con­tinuum, anche se va riconosciuto che in molti rimane non maturato. È superfluo, infatti, sottolineare che le condizioni della vita di oggi e, per certi aspetti, la stessa cultura domi­nante non facilitano e, forse, non permettono alla maggior parte delle persone di rendersi consapevoli di questa “chiamata” a realizzare in pieno la propria umanità, ma è bene essere convinti che nel percorso della scuola dell'ob­bligo e, in particolar modo, nei vari passaggi della preadolescenza, tale problema pedagogico vada considerato come ineludibile.


 

Dare contenuto alla parola dialogo

A me pare che tutte le nostre radici culturali abbiano posto comunque come punto di partenza per ogni efficace educazione lo sviluppo di un dialogo1, possibilmente di un dialogo diretto tra singole persone.

Ovviamente i termini dialogo e interpersonale, sono di immediata comprensione nel loro si­gnificato e valore. Casomai, il problema è quando, in quali momenti, e talora oggi con quali pericoli, possono essere realizzati i momenti di incontro e di dialogo interpersonale tra adulti e bambini o preadolescenti. Per vari motivi questo è lasciato solamente a figure specialistiche, psicologo, pedagogista, che interven­gono in particolari casi. Nell'ambito squisitamente didattico, il dialogo è preferibilmente inteso come rapporto di comuni­ca­­zio­ne tra insegnante e classe.

Non è detto che anche qui non possano nascere autentici ed efficaci momenti di dialogo interpersonale, purché si trovi tempo, spazio, occasioni per dare tutta la possibilità all'alun­no di poter esprimere, manifestare se stesso, comunicare le proprie istanze e pretendere il giusto ascolto.

Tutto ciò non può discendere che da una approfondita conoscenza sia della persona con cui si interagisce sia della opportunità e qualità degli strumenti del dialogo.

Se nello svolgimento del quotidiano insegnamento in classe ciò è fortemente limitato, appa­rendo anzi impossibile, nello svolgimento di un laboratorio questo è ampiamente attuabile.

 

La dimensione della ricerca

Anche a uno sguardo superficiale lo scorrere della vita di una persona si presenta come un continuo porre e porsi domande dalle più semplici e di uso immediato di una richiesta di infor­mazioni fino alle più complesse, quali quelle che investono la domanda e il significato dell'esi­stenza. Tale attività presuppone che in qualche modo siamo sempre alla ricerca di risposte.

Trovare risposte non dipende soltanto dalla qualità della fonte a cui si accede, ma suppone ci siano le condizioni per una buona domanda. Fare domande giuste alle persone giuste; questa è la chiave del successo di un'attività di ricerca.

Inizialmente ipotizzavo per il mio lavoro un titolo simile a questo: “Esperienze di avviamento alla metodologia della ricerca per alunni di quinta elementare”. Il titolo era sicuramente alquanto pretenzioso, ma vicino ai propositi generali iniziali. Esso è stato poi abbandonato perché ho compreso che quello che stavo realizzando non era una guida, né teorica né pratica, per avviare alle ricerche sul piano didattico.

Mi si presentava più arricchente l'idea che fosse necessario porre delle basi per una prima comprensione di quanto fosse complesso, certamente difficile, ma in fondo gratificante, portare i partecipanti a scoprire, con esempi pratici e semplici esercitazioni, cosa volesse dire fare veramente ricerca.

Una ricerca assegnata non dovrebbe mai essere posta come titolo. La vera ricerca nasce da una domanda. Rispondere in modo corretto alla domanda apre molto spesso ad ulteriori e più approfondite domande per una comprensione più ampia e articolata dell'argomento.

Successivamente, fin dall'inizio, ho riconosciuto che il cammino ipotizzato nello svolgimento all'interno dei vari gruppi assumeva una caratterizzazione propria.

Volevo trasmettere ai vari gruppi che ho seguito non soltanto dei concetti, seppure esemplificati, ma coinvolgerli in una sperimentazione pratica di attività di ricerca.

Ho perciò inventato un concorso (virtuale) con cui, di volta in volta, invitavo ciascun partecipante a “mettersi alla prova” con tipologia di compiti e difficoltà diverse.

La verifica della qualità delle risposte era svolta all'interno del confronto fra tutti i risultati, verificando quali strumenti e modi di ricerca si erano rivelati più produttivi.

La partecipazione a questo concorso, vissuta dai ragazzini come una sfida nei loro confronti, (per questo ho talvolta enfatizzato le difficoltà), è stata molto alta e ha evidenziato capacità inaspettate. Ho incoraggiato per questi compiti il ricorrere alla consulenza di familiari o altri come momento di coinvolgimento, interessamento e scambio.

 

La Domanda nella pratica educativa

La ricerca è sempre legata alla possibilità di fare domande, non importa se a una persona, a un libro, oppure a se stessi.

Fare domande è una attività che si evidenzia subito nei primissimi anni di vita di un bambino che la esprime con l'immediato “perché?”.

I quiz televisivi ci trasmettono il messaggio che la domanda è casuale, del tutto irrilevante ri­spetto ai nostri interessi culturali impegnativi, legata all'immediato vantaggio, e inoltre richiedono che la risposta sia già in possesso dell'interrogato. Solo così questi è un “vincitore”.

Quand'anche la ri­sposta fosse trovata, essa è già divenuta inutile. Insomma, o si sa o non si sa e pertanto è inutile dedicare tempo e fatica a darsi da fare per trovare.

Imparare a porre domande è una qualità di grande importanza. Trattandosi appunto di una “virtù”, essa non è innata, ma appresa.

Dedicare del tempo all'istruzione sul buon uso delle domande non sembra sia attività da trascurare ma, individu­ando le risorse, da incentivare.

Probabilmente, dedicare tempo è l'aspetto più problematico che oggi emerge in una scuola che è sempre più legata a un surplus di attività e di contenuti da rischiare di trascurare la qualità. Eliminare, o quantomeno ridurle e essenzializzarle, non è un problema cui si dedicano le stesse energie utilizzate all’inserire ogni anno novità.

Fare le domande giuste all'interno delle materie oppure sui fenomeni del mondo che ci cir­conda è normale prassi scolastica, anche se, probabilmente, sono molto più frequenti le domande po­ste dall'insegnante agli alunni, quando vuole controllare la qualità dell'apprendimento e dello studio di una materia.

È più raro, anche se non è detto che non succeda, che sia l'alunno a porre a sua volta do­mande all'insegnante all'infuori della normale richiesta di informazioni pratiche.

Probabilmente se un alunno delle elementari e delle medie fa delle domande “furbe”, è probabile che l'insegnante ne rimanga in parte sorpreso.

Ma l'alunno è capace di fare domande importanti, meritevoli di tutta l'attenzione e la cura nella risposta?Quando ciò accade, può significare che egli esprima bisogni, e nel contesto della classe abbia dovuto pure superare timi­dezza o vergogna per la paura del giudizio degli altri.

Il vissuto nel laboratorio, come occasione di porre doman­­de per piccoli passi, raggiunge questo: permette che chiunque possa intervenire sapendo che è ascoltato, gli viene data importanza, non è giudicato ma accettato per quello che sa esprimere.

Il superamento di una simile prova risulta una vittoria per chi, come molti, in classe non interviene anche se costretto con minacce o promesse.


 

 

La dimensione storica

Intendendo portare dei ragazzini a nuove esperienze, ho dovuto disegnare il percorso. Traccia e percorso individuati hanno dato a questo “laboratorio di avviamento alla ricerca”, come inizialmente inteso, la caratterizzazione di un laboratorio di avviamento alla comprensione della “storia”, non come un susseguirsi di avvenimenti da conoscere e ricordare, ma come modo di “essere” più consapevole nel proprio tempo .

Noi, infatti, non viviamo in un generico, anche se complesso, “presente”. Lo scorrere di ogni giornata segna un movimento, una crescita, un andare da un prima a un dopo.

Ciascuno di noi viene pertanto da un passato “personale”, (la “propria” storia) e da un passato “comune” che ha dato forma a un ambiente, a un contesto, che ha esercitato e condizionato l'essere qui-ora.

Abbiamo degli strumenti a disposizione per un primo riconoscimento del passato: la memoria e il racconto. Memoria e racconto fondano la storia che, tuttavia, per chiarirsi, ha bisogno della ricerca.

Se la “grande” storia ha bisogno di specialisti della ricerca storica, la mia “piccola” storia, quella della mia famiglia, del mio territorio, ha bisogno di testimonianze. Esse con una certa facilità sono a disposizione.

Ogni traccia di storia2 mi fornisce un racconto del passato, ma sono soprattutto i testimoni di piccole e grandi vicende del passato che nei loro racconti danno vita e presenza ad esso.

Se accanto all'interesse e alla immediata curiosità per il racconto, promuoviamo la capacità dell'ascolto, come insegnanti, mi pare, siamo andati molto avanti perché ritengo che a questo punto in modo quasi spontaneo nascono pure le prime esperienze di riflessione personale.

Scoprire il passato, riconoscerlo nel presente, questo è un cammino che fornisce risultati di maturazione sorpren­denti.

 

Appunti finali

Il lavoro svolto con i partecipanti è stato molto impegna­tivo e denso. Forse anche un po' al di sopra delle loro abilità di scolari di quinta elementare, ma la mia esperienza suggerisce che non è sbagliato porre paletti in apparenza superiori alle proprie capacità, perché questo mette in moto nuove e talvolta inaspettate energie. Ognuno può sentirsi provocato e spinto a met­tersi alla prova.

La fatica di essere attenti, capire, riflettere negli incontri, al di là di quanto i ragazzi ab­biano effettivamente prodotto, è senz'altro il miglior risultato che si potesse ottenere: favorire lo sviluppo di capacità di attenzione e di riflessione. È questa una buona preparazione per la scuola media, ed è quello che i partecipanti, secondo le loro capacità, portano con sé dopo l'e­sperienza.



Ho dato molto spazio anche al lavoro con le nuove tecnologie. Siamo del tutto immersi in un'era tecnologica e già i ragazzi usano con una certa disinvoltura strumenti che agli adulti sembrano più adatti alla distrazione che utili per un maggiore profitto scolastico.

A titolo di esempio, se l'insegnante potesse seguire i propri alunni attraverso l'e-mail, ciò permetterebbe di svolgere un insegnamento più individualizzato. Questo, tuttavia, per il la­voro quotidiano in una intera classe è impro­po­nibile, come minimo per mancanza di tempo.

Aver fatto questo per un gruppo limitato di ragazzi, ha permesso di esplorare le possibilità didattiche di questi strumenti (invio di materiale multimediale, compiti inviati in tempo reale, possibilità di suggerimenti personali, inizio d'un lavoro a scuola e poi completamento a casa…).

Pure l'accompagnatoria degli allegati aveva uno scopo: stabilire un contatto non im­personale, suggerire, incorag­giare, magari, se necessario, rimproverare: anche questo dà con­tenuto al rapporto educativo.

Infine, regola didattica fondamentale è che non è tanto la quantità delle cose che s’impa­rano che fa il grado d’istru­zione e di cultura di una persona; la qualità dell'apprendi­men­to è segnata dall'autonomia, dalla capacità di esprimere giudizi motivati, dal saper scegliere in­formazioni. Questo è un processo che non dovrebbe arrestarsi mai e che segna in particolar modo il percorso scolastico.

Porre delle semplici basi di alcuni processi già in quinta elementare è ormai ampiamente ritenuto indispensabile. È quello che si è considerato utile perseguire in questo nostro labora­torio.



1 La parola dialogo è, indubbiamente, il termine più proclamato come necessità nel linguaggio politico e delle relazioni tra popoli e culture diverse. Entra nei rapporti tra singole persone più come aspirazione e meta teorica (dialogo genitori-figli, dialogo scuola famiglia…) che come diffusa presenza.

2 "Tracce della storia nella mia città" ecco una ricerca molto interessante per chi però è già molto avanzato di possesso di capacità e strumenti