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Va subito detto che il libro di Francesco Busato mi è piaciuto, è scritto in modo scorrevole, si legge tutto d’un fiato, visto poi che non è suddiviso in capitoli che ne frammentano il contenuto. Se si parte con la lettura, per comprenderlo, bisogna arrivare a leggerlo fino in fondo.

 

Proprio perché io l’ho letto “fino in fondo”, il volume mi ha posto alcune domande. Anch’io infatti ho abitato a partire dai nove anni nel quartiere Oltreagno (per me l’indicazione è sempre stata quella, e non ricordo quando ho sentito parlare per la prima volta di “città sociale”, forse, in seguito gli studi di Erseghe). Io provenivo da via Don Bosco, solo a 100 m dalla chiesa di San Clemente e dentro di me il centro di Valdagno è sempre stato quello, con le sue tradizioni, le botteghe, le fastose cerimonie liturgiche come la processione del venerdì Santo e della Madonna del Rosario, il luogo delle prime marachelle combinate all’oratorio, allora, PIO  X, come “fanciullo cattolico”; mi sono nutrito di tutte le grandi avventure di Salgari dalla biblioteca parrocchiale circolante... Per dire che, pur abitando in Oltreagno, insomma, la mia prima socializzazione non è avvenuta lì. Tutto questo mi porta a pensare di aver sempre vissuto la compagnia dei “ragazzi della Rinascente” come qualcosa che non mi è mai appartenuto. Va tenuto però presente che io ho qualche anno più di Francesco.

 

Il libro di Francesco Busato ha un taglio e una linea direttrice che vanno subito compresi, pena una distorsione, e forse anche altre incomprensioni nella lettura.  L’autore ha avuto una felicissima intuizione: un immaginario dialogo lungo per tutto il pranzo tra lui, pre-adolescente e il Conte.

Da questo fatto, realmente avvenuto, si sviluppa un immaginario dialogo tra lui e l’ospitante, un dialogo lungo tutte le 181 pagine del libro che tocca tanti temi e tanti momenti dell’esperienza “urbanistico-sociale” dell’industriale Marzotto soprattutto del quartiere a Nord del teatro Rivoli e quasi a ridosso della fabbrica dove l’autore vive tuttora, indicato, chissà perché, dal nome della “Rinascente”, vecchia e nuova.

Attenzione: non tra lui e l’industriale Gaetano Marzotto, ma tra lui, con la compresenza dei genitori e della zia, e il CONTE (così lo indica sempre Busato) che, per Valdagno, è sempre stato molto di più di un importante industriale che dà lavoro ai propri dipendenti, perché il “Conte” dà un senso all’appartenere a Valdagno. Un racconto-saggio che, partendo dai ricordi degli anni delle medie, diventa via via una riflessione (e una analisi) dell’autore su quel particolare quartiere di Valdagno e su ciò che ha rappresentato nella propria personale crescita.


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