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Il fenomeno dell’immigrazione ha un rapporto con la crisi economica?  La aggrava? La domanda può essere però posta in modo diversamente provocatorio: se qui da noi non fosse arrivato nemmeno un immigrato, staremmo, oggettivamente e non psicologicamente, meglio, avremmo meno povertà, meno crisi economica, più lavoro? La situazione, a causa delle immigrati, si è aggravata? Se la risposta (probabilmente) è no, potremmo dire che questi sovradimensionati arrivi si aggiungono a una situazione già difficile, ma non ne mutano sostanzialmente la qualità.

Secondo approfondimento nella mia ipotetica dispensa. Perché oggi questa cosiddetta invasione fa paura tanto da suscitare reazioni aggressive ed emotive?

La risposta non è difficile: a mio parere, non è per il numero. Centottantamila immigrati (questo è il numero che si dovrebbe raggiungere dopo l’inverno) ripartiti in 8000 comuni comporterebbero un aggravio di presenza per ogni comune di 22 persone circa, ma va fatto un discorso proporzionale. Anche se tutti i nuovi immigrati intendessero rimanere qui da noi (il che non è quelle che vogliono), noi avremmo un immigrato/clandestino ogni 300 abitanti (è chiaro che se invece sono concentrati soltanto in alcuni luoghi, la situazione è ben diversa). Possiamo parlare di numero insostenibile?

Sono diversi, giovani, senza occupazione e quindi vivono a sbafo e soprattutto rappresentano una pieno fattore di insicurezza per la nostra gente, soprattutto donne e anziani”. È una paura che corrisponde ai fatti? Di tutti i crimini di varia gravità che vengono commessi quotidianamente nel Paese quanti sono da attribuire a questi immigrati? È pur sempre una questione di dati numerici!

Abbiamo paura solo perché si tratta di persone diverse? Diverse in che senso? Negli asili, nelle scuole elementari o medie nella maggior parte delle città medio-grandi le classi sono piene di bambini provenienti da ogni parte del mondo, e i bambini, come sempre, non se ne fanno un grande problema.

Sono musulmani e quindi potenziali terroristi!”. Affermazione non vera, solo una minoranza vengono da paesi musulmani, e poi non è detto che siano terroristi, specialmente se donne e bambini, ma la maggioranza di essi sono africani e cristiani. Anche qui i dati numerici ci sono, ma non vengono conosciuti o presi in considerazione.

Gli immigrati sono persone che portano le famiglie, e per giunta numerose”. Nel corso del tempo, l’immigrazione su vasta scala trasformerebbe le culture dei paesi in modo multiforme. E se ciò rappresentasse un arricchimento invece che un impoverimento? Ritornando al discorso iniziale, cosa ci insegna la storia?

 Terza obiezione. “La grande immigrazione comporta la perdita della nostra identità “cristiana”. Che cosa intendiamo per identità cristiana? Seguire gli insegnamenti del Vangelo? Accettare i valori della morale e dei precetti portati da Gesù, o un vago sentimentalismo e nostalgia di tradizioni, che però non sono più vissute nel contesto attuale? Il senso evangelico dell’accettazione (cioè la pratica delle famose “opere di misericordia” del vecchissimo catechismo) non è parte costitutiva di una identità cristiana? E, quindi, pongo la questione quanto di questa identità cristiana, dei suoi valori e dei suoi insegnamenti è ancora radicata nel nostro popolo? Siamo onesti con noi stessi: chi oggi può dire di vivere una vera “identità” cristiana?


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