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È in arrivo il Natale e per tradizione quasi tutte l nostre scuola si apprestano a celebrare in vari modi questa ricorrenza, di solito con molti canti di ispirazione religiosa. In molti istituti fioriscono pure i presepi. Puntualmente la stampa riporta la ricorrente questione: accade che alcune scuole non fanno nulla o celebrano questa festività con manifestazioni “laiche”. Di conseguenza si scatenano le polemiche di coloro a cui l’assenza dei canti tradizionali e del presepio non va giù.

 

Ora, per quanto dicono i giornali, dai dirigenti scolastici e consigli di classe, che rifiutano la tradizione religiosa natalizia vengono portate due motivazioni: l’estraneità a questa ricorrenza di alunni, che sempre più numerosi nelle nostre scuole, ma ancora minoranza, non appartengono alla religione cristiana. Si instaurerebbe una qualche forma di discriminazione.

Questo argomento suscita l’indignazione di coloro che vedono messa in pericolo la nostra “identità”, un cedimento alle pretese di assoluta parità, anzi addirittura di supremazia, di coloro che ci stanno “invadendo”. Quindi, ciò favorisce la speculazione politica di chi ritiene che, attraverso una spontanea o guidata, indignazione di molti genitori, si possono ricavare vantaggi. Ma qui non approfondisco questa questione perché m’interessa più la seconda motivazione.


 

La scuola italiana è non confessionale, ma “laica”. Tutto ciò che essa offre dovrebbe essere reso libero da influenze di tipo confessionale o religioso. Dovrebbero essere escluse le celebrazioni religiose per facilitare l’integrazione dei bambini non cristiani ma, soprattutto, per mantenere il valore aconfessionale (laico? In fondo, che cos’è la laicità? Non è detto che lo si sappia) dell’insegnamento e dell’istruzione.

Non siamo quasi più al tempo nel quale il parroco del paese a Pasqua andava a benedire la scuola, si tratta di vedere se la celebrazione del Natale cristiano (“Tu scendi dalle stelle o re del cielo…, Adeste Fideles…”, il presepio…) possa essere vista in contrasto appunto con la laicità.

 

Prima osservazione: esiste un Natale non cristiano? Natale o è cristiano o non è. Il Natale o è religioso o non è. Comunque lo vogliamo vedere, il Natale è la celebrazione di una nascita di un bambino. Lo consideriamo simbolicamente la celebrazione della nascita di tutti i bambini e il prolungamento della vita? Va benissimo, ma non è il Natale che celebriamo noi. “Natale laico” è un ossimoro. Esso è per sua definizione un Natale cristiano. Possiamo inventarci qualcosa altro, non so, festa della luce, dell'albero verde, del panettone, dell’inverno… Ma Natale è e rimane cristiano. Lo stesso Babbo Natale, che porta dolci regali, è una figura solo apparentemente non religiosa, se vogliamo profana, ma si carica di simbolismo religioso (perché i genitori che preparano la sera prima i doni per i bambini piccoli hanno bisogno di una figura simbolica come quella di Babbo Natale, se non come richiamo a una presenza “magica”, quindi pagana, ma pure pre-religiosa?).

E allora che cosa ha a che vedere il Natale-cristiano con la scuola sempre più multirazziale e multiconfessionale?

Il problema è quello delle radici e dell’identità, che non è assolutamente un tema secondario, anche se un tema equivoco. È un problema che riguarda il passato e il peso che ha nel presente. Ma non nel senso di “identità” ideologica, accettata acriticamente.

 

Ed ecco subito il confronto passato-presente. Quali sono le radici di un popolo di un nazione nella quale le chiese, sorte come luogo di preghiera e di incontro di una comunità “cristiana”, sono ormai praticamente vuote nei riti, al massimo considerate e visitate come musei? Quanto sono presenti e vissuti oggi i valori fondanti del cristianesimo, e quindi dell’identità?

Eppure le radici esistono e come! Se per radici intendiamo come nei secoli il cristianesimo ha contrassegnato il territorio: chiese, monasteri e conventi sono presenti ovunque, i santuari, spesso con richiami a metà tra sacro e profano, attraggono folle in ogni periodo dell'anno e, inoltre, le croci su ogni cima, capitelli nelle contrade marcano il territorio, i più svariati santi danno nome da secoli a città e borghi, mentre feste e processioni sono vissute anche oggi con grande partecipazione dalla religiosità della gente. Chiunque vada visitare qualsiasi museo, lo troverà ricco di pitture della vita di Cristo, immagini delle più svariate madonne, e di innumerevoli santi. Sì, indubbiamente la nostra nazione, o se vogliamo la nostra civiltà, ha radici cristiane.


 

Ma il cristianesimo quanto oggi è identità reale caratterizzante? Questo è molto discutibile. C'è stato un processo di secolarizzazione molto accentuato da decenni, che ha fatto evaporare ma non ha sostituito. Il sentire di appartenenza cristiana a una comunità è oggi spesso surrogato da una adesione a una fazione che si caratterizza come contrapposta ad altra fazione. Ma, come appartenenza, è pur sempre surrogato, e della peggiore specie. Oggi il cristianesimo è sempre la religione della maggioranza della gente, se si vuole identitaria, ma una religione confusa, ed è vero, sono giunti numerosi fra noi bambini e ragazzi che nessun esperienza hanno di questo nostro “essere cristiani”. Cosa vedono o possono conoscere essi del cristianesimo da come è vissuto oggi dalla stragrande maggioranza dei “cristiani”?

Allora sono nel giusto coloro che vorrebbero togliere al Natale ogni connotazione religiosa nel celebrarlo a scuola? Via i presepi, i pastori, la loro sostituzione con alberi verdi finti e una fantasmagoria di luci vivaci ma insignificanti? Ma queste feste, anche se sponsorizzate dalle leggi del commercio, non hanno alcun fondamento nella mente e nel cuore di nessuno popolo e non incodono in alcun modo nel tessuto educativo che la scuola può dare. Sarebbero soltanto tanto un momento di svago, di vacanza. È vero pure che da decenni tutti proclamiamo che il Natale è solo una ricorrenza consumistica (almeno quando lo poteva essere) sorretta da musichette sdolcinate (c’è niente di più assurdo dello zampognaro sui nostri centri commerciali?). Cosa rappresentano i tradizionali addobbi natalizi, l'albero di Natale le lampadine brillanti accese se non un generico invito a essere un po' più buoni?

Che il cristianesimo segni oggi l'identità del nostro popolo ne dubitiamo, il richiamo a una identità cristiana appare sempre più come un appello a sostegni elettorali, che nulla hanno a che vedere con la difesa di un’identità di popolo e di nazione.

 

Il rifiuto della celebrazione cristiana del Natale portata avanti da un certo numero di educatori (appunto “cristiani”, perché battezzati) non rivela tanto ostilità, ma piuttosto una forma di indifferenza, che però è frutto anche una mancanza di cultura. In fondo è come se dicessero: “perché dobbiamo crearci dei problemi con argomenti religiosi, che forse anche a noi dicono ben poco?”. Che cosa rappresentano, il presepio e il canto di “Adeste Fideles” se non una forma di nostalgia educativamente non caratterizzante?

Pertanto, il problema non è tanto del Natale sì, Natale no, a scuola, ma quale posto ha (o dovrebbe avere) la religione a scuola (e, perché no?, nella vita) in un nostro tessuto storico certamente profondamente cristiano, ma una società attuale profondamente de-cristianizzata oltre che nei valori, anche nella conoscenza dei contenuti della fede stessa. Immaginiamo la visita di una classe a L'Ultima Cena di Leonardo da Vinci, in assoluto una delle opere d'arte più importanti di tutti i tempi. Gli alunni saranno portati alla conoscenza della carica innovativa dell’opera o dell’impatto da essa avuto sugli artisti di tutte le epoche. Ma quanti alunni comprenderanno che Leonardo rappresenta il momento più drammatico del Vangelo quando Cristo annuncia il tradimento di uno degli apostoli? Non si può afferrare questo se non attraverso la conoscenza di alcuni fondamentali contenuti, quelli che una volta si imparavano al “catechismo”.

Che cosa rappresenta questa volontà di presenza del presepio in tutte le scuole? Vogliamo che sia tramandata la fede che Dio si è incarnato fra gli uomini, oppure trasmettiamo una generica nostalgia per l’infanzia perduta, per quando pensavamo di essere un po’ più buoni, e forse lo eravamo, o, forse, no.

Che cosa significa realizzare dei contenuti religiosi a scuola, e quindi fare il presepio, nel senso di dare significato ha un contenuto cristiano? Ecco la domanda che la questione del presepio sottintende, a cui ciascuno dovrebbe rispondere in modo personale.

 

Se il presepio è un generico invito al “volemose bene” per un ben quantificato periodo dell'anno, assolutamente non disturba nessuno, tanto meno i musulmani (e neppure i dirigenti laicamente più scrupolosi). Avrebbe ragione qualche vescovo che, sempre se i giornali riferiscono correttamente, dice che dobbiamo comunque noi (“cristiani”?) fare “passi indietro” se ciò serve a mantenere un “clima pacifico” al nostro interno, anche scolastico.

 

Se è memoria di tradizioni passate è ricordo nostalgico, e anche questo per nulla disturba.

 

Se vuole essere una riproposta di contenuti e di valori di fede cristiana, beh allora dobbiamo anche preoccuparci perché il confronto con altre culture e religioni qui si pone realmente con forza. In quali termini, quali contenuti, quali proposte, penso sia tutto ancora da inventare. Però, è un gran bel compito per l’integrazione e una scommessa per il futuro, quando l’Italia, tradizionalmente cristiana, ma ora non più, dovrà riacquistare una nuova e più precisa identità. Ancora cristiana? Non saprei. Personalmente ne dubito.

 

Antonio Boscato