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SIAMO CAPACI DI “DARE GIUDIZI”?

 

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Ed ora ragioniamo sui “ragionamenti”

Intanto una piccola introduzione teorica (che non fa mai male). Qui bisogna “fare giudizio”! Alzi la mano chi non si è mai sentito rivolgere un simile invito!

Intanto, cosa vorrà dire fare? Agire, agire in un certo modo, assumere certi comportamenti, tradurre il verbo nel concreto non è difficile.

Ma con la parola giudizio che cosa intendiamo?

Con il “pensiero” noi costruiamo storie fantastiche, prevediamo come sarà la prossima vacanza al mare, facciamo dei progetti, mettiamo in atto strategie per raggiungere uno scopo e, soprattutto, “ragioniamo”, e, appunto, il “ragionamento” è l'argomento del discorso che iniziamo ora. Diciamo che “ragionamento” è per noi sinonimo di “giudizio[1].

  • Ragionamento (vedi il dizionario), secondo il valore che assegniamo noi, è il processo per il quale si pensa e si discorre in forma logica e, in particolare, si muove da premesse per giungere a una conclusione.
  • Giudizio” è un termine usato in mille accezioni[2], ad esempio in ambito giuridico (“giudizio di primo grado, d'appello”), in senso di sentenza finale (“Il giudizio di Dio”), può indicare valutazione sia positiva che negativa (il famoso “giudizio per materia e giudizio globale” che tu trovi sulla pagella), una sentenza (hai sentito parlare del “giudizio di Paride” su Elena che dà avvio alla guerra di Troia).
    •  Noi usiamo questa parola dando ad essa il seguente significato: “capacità di distinguere il bene dal male e usare saggiamente le capacità dell'intelletto, compiendo le scelte più opportune”.

Non sappiamo come gli animali diano contenuto ai loro pensieri, cioè non sappiamo se e quanto ragionano, ma osservando il loro comportamento ci rendiamo conto che essi obbediscono all’istinto, non hanno capacità di scegliere, il loro comportamento è predeterminato, noi invece siamo capaci di scegliere e ciò lo possiamo fare solo attraverso dei ragionamenti. Ad esempio davanti a una scelta, valutiamo quale sia preferibile, riflettendo su quella che mi dà più vantaggi o meno rischi[3].

Esempio pratico: potrei scaricare illegalmente un film da Internet. Lo posso fare? Mi conviene farlo? Osserva che potere e convenire indirizzano verso scelte diverse[4].

Con i giudizi/ragionamenti noi affermiamo o neghiamo qualcosa, diamo valore a un gesto o a un oggetto, sono essi alla base del nostro agire e del nostro scegliere. Se non esercitassimo la facoltà di ragionare opereremmo solo sulla base degli istinti. È insomma il ragionare che ci fa uomini.

È solo attraverso il ragionamento che arriviamo a certezze, senza le quali non potremmo neppure vivere. Attraverso il ragionamento soprattutto arriviamo alla “verità”. La Bibbia racconta con termini altamente poetici l'inizio del ragionamento da parte dell'uomo in Genesi[5] v. 15, 18-20.

“Dopo aver creato l'uomo, racconta la Bibbia, Dio “lo pose nel giardino dell'Eden perché lo coltivasse e lo custodisse (…). Plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamati ognuno degli esseri viventi, questo doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, e a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche(…)”.

In questo racconto con tutto il suo valore simbolico è riportata la vera nascita dell'uomo: la nascita della sua funzione raziocinante che è rappresentata dal “dare un nome alle cose”. Il nome non è soltanto un insieme di lettere, in particolare nel mondo semitico (cioè quello a cui appartiene la lingua con cui è stata scritta la Bibbia) il nome è la realtà stessa. Anche nell'antico Egitto il sapiente è colui che sa più nomi perché conosce l'essenza di molte più cose.

Ma è soprattutto dando un nome che l'uomo le conosce e le riconosce, per cui può anche compararle e interpretarle. Ecco perché questo capitolo è centrale nel nostro percorso.

In conclusione i “giudizi” di cui parliamo qui sono soprattutto le affermazioni che noi facciamo, le opinioni che esprimiamo, i pensieri che sono alla base delle nostre azioni, tralasciamo soltanto le fantasticherie, le battute dette “senza pensarci” e, quindi, a pensarci bene, la nostra visione della vita, delle persone e delle cose.

Chi non sa esprimere giudizi sta fermo, chi si appoggia ai giudizi degli altri (si fida) si fa portare dagli altri. E, ovviamente, va dove lo portano gli altri. Chi invece cammina con le proprie gambe decide lui dove andare. Può decidere di chiedere aiuto, di affidarsi ad altri, perché sa che non tutti i passaggi è in grado di farli da solo, però è sempre in condizione di intervenire, di esprimere il suo punto di vista.

Con una frase ad effetto potremmo dire che “tiene la propria vita nelle sue mani”.

Giudizi: forma e contenuto

Ci risolve il problema in maniera molto precisa la definizione del dizionario, che, alla parola “giudizio”, afferma (tra i tanti significati che la parola viene ad assumere a seconda del contesto c’è anche il seguente che ci viene, come si dice, a fagiolo) “giudizio, atto della mente con cui si afferma, o si nega qualcosa di un’altra o con cui si riconosce che un dato predicato conviene a un determinato soggetto”. Ma guarda, qui il dizionario va a finire nell’analisi logica!

Un altro dizionario (a prova che non tutti i vocabolari sono uguali) usa termini più semplici come nella seguente definizione: “Affermazione che esprime una opinione, un credere, un valutare”.

Applicando la definizione alle nostre due frasi, dobbiamo ammettere che siamo di fronte a due giudizi (proprio perché diciamo qualcosa di qualcuno). La frase “Gianni è un alunno di terza media” è un giudizio esattamente come l’affermazione: “Gianni è un ottimo studente”. Con il nostro giudizio noi predichiamo in entrambi i casi delle qualità di Gianni: è un alunno di terza media, è ottimo studente[6].

Ma perché ci complichiamo la vita con queste questioni?

Una prima risposta è che ora possiamo scoprire che bisogna mettere attenzione e distinguere tra la forma e il contenuto di una affermazione (di un “giudizio”).

Di fronte alla frase “Gianni non è un cattivo studente” il nostro campione di studenti, interrogato, ha risposto dividendosi in due partiti: alcuni sono stati del parere che la frase fosse “negativa”, altri invece hanno sostenuto che la frase appariva loro “positiva”.

Secondo te, quale dei due gruppi ha ragione? Ti risparmio una lunga fatica di riflessione e ti svelo subito che hanno ragione, in parte, almeno tutti e due, se al significato “negativo” e “positivo” si dà il giusto riferimento.

La frase è espressa in forma negativa, ma il contenuto è “positivo”, cioè il predicato “non cattivo studente” ha un valore positivo, per cui noi diremo che la frase è negativa nella forma ma esprime un giudizio che assegna un valore “positivo” al soggetto della frase, cioè a Gianni.

Ma qui nasce un grosso problema al quale accenno soltanto perché un po’ difficile. Se devo trasformare il giudizio in una forma positiva, che aggettivo userò al posto di non è un cattivo?

L’aggettivo “cattivo” ha bisogno di fare riferimento a un contenuto preciso, è troppo vago e generico per predicare qualcosa di concreto come vedremo nella discussione che Giulia fa con la mamma nell’esempio più avanti.

Sarà vero che?

Ogni nostra affermazione deve essere, possibilmente, verificata. Non tutto ciò che pensiamo e diciamo è vero. Perché le nostre opinioni diventino certezze, dobbiamo sottoporle a verifica.

La verifica, ci dice un dizionario, è “una serie di atti volti a controllare se documenti, dichiarazioni o altro affermino o no il vero, oppure un qualsiasi procedimento attraverso le regole del pensiero per mezzo del quale una affermazione, un giudizio vengono dichiarati veri o falsi”. Un po’ difficile?

Quando non siamo d’accordo su qualcosa con qualcuno, il che avviene molto spesso, come facciamo a stabilire chi ha ragione?

In una discussione, dalla più futile alla più importante, le parti portano degli argomenti (cioè delle prove) a sostegno di quello che essi pensano sia vero (a sostegno, quindi, della loro tesi). Ognuno è convinto che le prove siano convincenti.

  • Giulia, l’altro giorno, si è incavolata nera ed è tornata a casa affermando che non vuol più parlare con il suo compagno di classe Paolo “perché è cattivo”.
  • Ovviamente la mamma le ha subito chiesto il perché. Immaginiamo che la risposta di Giulia sia stata che Paolo è cattivo perché ha il maglione verde. Come l’avrà guardato la mamma?
  • Infatti, si capisce immediatamente che questa motivazione, posta a sostegno dell’affermazione sulla cattiveria di Paolo, non ha senso, perché non c'è nessun legame tra la tesi e le prove portate a sostegno della tesi. In realtà la mamma avrà chiesto a Giulia: “che cosa ha fatto Paolo perché tu lo consideri ora cattivo?”
  • Molto più probabilmente Giulia avrà portato delle prove più convincenti del colore del maglione di Paolo e avrà fatto presente che durante la ricreazione Paolo le fa continuamente degli scherzi, oggi poi le ha tirato i capelli, in classe le ha nascosto la gomma e le penne...
  • Ma dai - esclama la mamma - Paolo è solo un ragazzo un po’ impulsivo, forse anche prepotente, ma non proprio cattivo, e poi “chi disprezza compra”, se ti dice delle parolacce vuol dire che ti ha notato ed è un suo modo, magari sbagliato, perché tu ti accorga di lui!

Analizzando queste affermazioni osserviamo che la mamma corregge il giudizio di Giulia, praticamente insistendo sulla insufficienza delle prove che Giulia ha portato a sostegno della tesi della “cattiveria” di Paolo, anzi sull’ambiguità delle motivazioni stesse.

Ecco una bella scoperta: se ha ragione la mamma (e probabilmente sì) i gesti di Paolo sono, giustamente, giudicati come negativi, ma in realtà le sue intenzioni nei confronti di Giulia sono di stabilire un contatto, magari una amicizia, quindi, pur rimanendo negativi, assumono un nuovo significato. Essi, perciò, vanno interpretati.

Ambigui sono i gesti “cattivi” di Paolo perché, forse, volevano esprimere qualcosa di diverso da quello che “immediatamente” potevano significare.

  • “Ambiguo”, infatti, vuol dire che una prova, un fatto riportato, non solo non sono sufficienti a sostenere una affermazione, ma, anzi, leggendola in un modo diverso, può essere presa a sostegno della tesi opposta[7].

Noi, magari, conosciamo Paolo e siamo d’accordo che è impulsivo e prepotente, ma i due aggettivi sono sinonimi di “cattivo”?

Ancora osserviamo che, quando Giulia esprime un giudizio pesante su Paolo, è influenzata dal suo stato d’animo. Il giudizio non è perciò così preciso, oggettivo, ma subisce l’influenza di condizioni esterne.

Quando a Giulia sarà passata l’incavolatura, probabilmente rivedrà il suo giudizio su Paolo, e il giudizio “cattivo” non sarà così assoluto e perentorio.

In conclusione ricaviamo questa importante regola:

Dobbiamo imparare a non dare giudizi definitivi, ma sempre provvisorie, soprattutto, i nostri giudizi debbono essere confermati dai fatti.

In pratica, dobbiamo imparare a fare operazioni di verifica. Come verificare sarà l’obiettivo dell’ultima parte del nostro corso.

Facciamo una disputatio in classe[8]

Grande discussione in classe sulla questione: “La nostra città è bella o brutta?”. Paolo, quello che ha fatto proprio arrabbiare Giulia, raccoglie l'opinione prevalente e butta lì categorico: “È proprio brutta, anzi fa schifo!”. È la tesi di Paolo[9].

Non c'è che dire, siamo di fronte a un inequivocabile giudizio perentorio, che non ammette cioè replica o possibilità di discussione. Ma avrà poi ragione o non sarà magari il suo un giudizio un po' esagerato, frutto del suo carattere impulsivo e prepotente?

Per rispondere a una tale domanda dobbiamo eseguire una serie di operazioni di verifica del giudizio stesso, vedere cioè se l'affermazione di Paolo regge alla prova dei fatti. Il passo successivo è, quindi, semplice.

  1. Anzitutto osserviamo che la domanda pone la scelta tra due possibilità: “sono d’accordo o non sono d’accordo?”
  2. Chi deve decidere tra le due opinioni, su che cosa fonderà la scelta, che cosa lo farà decidere per l'una o l'altra delle possibilità?
  3. Dovrà, sicuramente, fare dei “ragionamenti”.
  • Marco fa notare che è d’accordo con Paolo perché è un’opinione che gli “piace” di più. Questo è un giudizio che non convince immediatamente, sembra discutibile, ma perché c'è una scelta che piacedi più a Marco?
  • Uno che non ama il mare, a Capri potrebbe stufarsi, ma non può dire che Capri non è bella, quindi la scelta dipende da tanti fattori, ci pare corretto poter dire che ogni cosa ha in sé delle qualità e delle caratteristiche, che la fanno giudicare bella o brutta, anche al di là delle preferenze personali. Insomma, dobbiamo ancora trovare uno che dica che Capri è una località brutta! Bisogna essere capaci di obiettività.
  • Marco si dice d’accordo con il giudizio di Paolo ma non porta nessun argomento alla sua tesi. Ha espresso soltanto un’opinione, che sembra non fondarsi su dei ragionamenti.
  1. Andiamo avanti con la nostra discussione in classe. Viene chiesto a Paolo e ai suoi compagni di portare una serie di prove a sostegno della tesi (dell'affermazione). L'elenco si fa subito lungo: “I marciapiedi sono pieni di buche, non c'è la piscina funzionante, manca il verde, in certe zone i bambini non sanno dove andare....”. Tutte affermazioni che corrispondono cioè a dati certi, reali, di cui tutti hanno fatto esperienza, e che possono controllare. Sono perciò oggettive.
  2. Ma qui interviene l'insegnante, che tenta di mettere in crisi l'opinione della maggioranza: “Non vi pare che ci siano anche argomenti a sostegno della tesi opposta?”
  • E' vero - ammette Marco - non c'è inquinamento, a differenza di...”, “E poi la vallata è molto bella, piena di luoghi carini, intatti”, riprende Nicola; “anche il centro storico è ben conservato, ci sono palazzi classificati artistici”; interviene Giulia: “non è vero che il verde non c'è, è solo distribuito male, manca del tutto in alcune zone, ma in altre è abbondante “... Anche qui l'elenco si fa altrettanto lungo.

E alla fine di che opinione siamo?

Forse, ma non ne siamo molto sicuri, abbiamo convinto Paolo che è meglio fare un uso moderato di giudizi definitivi e assoluti. Anche in natura il nero assoluto o il bianco abbagliante, nonostante i moderni detersivi, sono colori molto rari. Prevale piuttosto il grigio. Anche la notte più buia lascia apparire una fioca luce quando l'occhio si è abituato a fissare l'oscurità.

Una seconda conclusione appare la seguente: talora il giudizio più che nell'esame del dato oggettivo, della cosa in sé, nasce, potremmo dire, all'interno dell'occhio di chi guarda.

  • È quasi vuota” afferma chi guarda la parte superiore della solita bottiglia piena a metà. “Ma scherzi, non vedi che è ancora quasi piena” risponde l'altro che si sofferma sulla parte inferiore.

L’insegnante pertanto pone la domanda a Paolo se non sia più corretto (più vero) sostenere che la nostra città non è brutta in assoluto, ma siamo noi che la vediamo tale, cioè cogliamo prevalentemente gli aspetti negativi e non sappiamo avvertire e valorizzare gli aspetti positivi.

Paolo ci pensa un po', ma non appare tanto convinto. Eppure ci pare che il nostro ragionamento non faccia una grinza.

Qui nasce una grossa questione: perché l'insegnante, che pure ha diretto la discussione, è stato così poco convincente?

Intuiamo[10] un passaggio successivo: abbandonare la propria opinione, anche in presenza di fatti che la smentiscono, non è sempre così facile, come apparirebbe a prima vista. Succede infatti che, anche di fronte a prove che sembrano indiscutibilmente certe, la persona non è d’accordo, non si convince.

Ma questa è una questione che vedremo la prossima volta.



[1] Allora, in questo caso "fare giudizio" vorrebbe dire "fai dei ragionamenti corretti".

[2] Accezione: il significato di una parola.

[3] di fronte una scelta uno potrebbe anche buttare una moneta, in questo caso l'esito non sarebbe una scelta ma soltanto frutto del caso.

[4] Lo posso fare? La scelta dipende dai miei principi (scaricare da Internet illegalmente è un tipo di furto). Mi conviene farlo? La scelta dipende dai vantaggi che ne ricavo (mi godo un film ancora in prima visione senza spendere nulla) e dai rischi (se sono pescato, potrei pagare una grossa multa, ma siccome la polizia non ha mai pescato alcuno allora…). E tu cosa sceglieresti?

[5] L'insegnante di religione ti avrà già parlato della Bibbia e in particolare della creazione del mondo e dell'uomo appunto nel primo libro "Genesi".

[6] Dopo il Vangelo alla messa il celebrante tiene l'omelia, ma una volta questa si chiamava predica. Sapresti dire da cosa deriva questo vocabolo? Semplice: predicare voleva dire spiegare (la parola di Dio come insegnamento per la vita).

[7] Beh, certamente non ci può essere nessuna ambiguità in un caso di assassinio, perché il fatto, come conseguenza, è chiaro. Tuttavia, potrebbero esserci delle attenuanti che vanno ricercate e valutate da parte delle autorità

[8] Cioè una disputa, con parole più semplici, una discussione tra persone che sostengono tesi, cioèargomenti contrapposte e vogliono dimostrare che la loro è quella vera. In allegato agli esercizi trovi anche una lettura che illustra quanto sia stato importante per la formazione della conoscenza nel medioevo la tecnica delle dispute nelle università del Medioevo.

[9] Se un insegnante molto arrabbiato esclamasse: "Non ho mai trovato una classe peggiore della vostra!", non saremmo di fronte a un giudizio assolutamente perentorio? Quali prove potrebbe l’insegnante portare a sostegno della sua tesi? La sua esclamazione perciò è solo uno sfogo, non certo un giudizio, soprattutto perché manca ogni possibilità di confronto tra due realtà diverse. I superlativi relativi o assoluti dei giudizi vanno sempre usati con molta, ma molta prudenza (anche da parte degli insegnanti)!

[10] Che differenza c'è tra intuizione e deduzione? “Quel nostro compagno è molto intuitivo”. Da cosa lo deduciamo?