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Job.Scuola.Idee

raccolta di idee e strumenti per una DIDATTICA moderna

SUPPONIAMO O DEDUCIAMO?

 

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 Nota introduttiva: questo corso di filosofia è a pagamento?

No, mi rispondete, perché noi, anzi i nostri genitori non hanno pagato un euro perché lo possiamo frequentare! Questo corso è "gratis". E invece qui vi sbagliate, perché il costo è rappresentato dal tempo che dedicate per frequentare e a casa approfondire (purtroppo, mi pare pochino![1]).

Il proverbio dice: “Il tempo è denaro”. Se ci pensate un po', il tempo e la vostra unica ricchezza. Infatti, i soldi voi non li avete, semmai ce li hanno i vostri genitori. Ogni persona, giacché viene a questo mondo, ha a disposizione una certa quantità di tempo. Come uno non butta via i soldi, ma cerca di spenderli nel miglior modo possibile, anzi di investirli perché gli diano profitto, ciascuna persona, anche se molto giovane, deve imparare a spendere al meglio, di più investire il proprio tempo, cioè la propria personale ricchezza. Per due buoni motivi:

1 - Mentre qualcuno con i soldi può diventare sempre più ricco, nessuno ha possibilità di aumentare il tempo che gli è assegnato.

2 - Nessuno sa, e può sapere, quanto è ricco di tempo. In altre parole, nessuno sa di quanto tempo può disporre.

Deduzioni e supposizioni che problema!

Per giungere alla conoscenza utilizziamo degli strumenti, i ragionamenti, cioè dei procedimenti (processi) mentali. Uno di questi è il procedimento della deduzione che consiste nel collegare più informazioni per ricavarne una terza.

“Giuseppe frequenta la 2B alla scuola media del nostro istituto”.

Deduco che, oltre all’inglese, apprende la lingua spagnola. È sicuro, perché tutti quelli che frequentano il Corso B hanno come lingua straniera assegnata il tedesco (informazione di cui sono già in possesso).  Ovviamente, devo conoscere la classe frequentata da Giuseppe e la lingua straniera che è insegnata in quella classe. Lo schema del ragionamento è il seguente:

  1. Tutti gli alunni della 2B studiano come lingua straniera il tedesco (lo so già);
  2. Giuseppe è alunno della 2B (lo so già);
  3. c.    Quindi, Giuseppe studia il tedesco[2](dalle due informazioni conosciute ricavo la terza e che diventa una nuova conoscenza).

Suppongo che non frequenti la scuola il pomeriggio: è soltanto probabile perché so che non sono previste attività al pomeriggio per gli alunni del Corso B, ma non sicuro, potrebbe frequentare un corso di filosofia o di computer o altro. Infatti, non ho posto come premessa l’affermazione: “Nessuno degli alunni della 2B viene a scuola il pomeriggio[3].

“Se Gianni non studia...”

Suppongo che non verrà promosso (non deduco, non è proprio certo). La supposizione contiene sempre espressione verbale può essere che.

Può essere che sia anche promosso se gli insegnanti terranno conto di certe condizioni a suo favore. In questo caso ho introdotto nella proposizione un’ipotesi: se (if) gli insegnanti sapranno essere comprensivi, allora (then) le possibilità di Gianni aumentano.

Se (if)… Allora (then)…” presuppone la condizione per cui accada un certo evento. "Se alla fine dell'anno avrò la media dell'otto, allora riceverò in regalo il nuovo iPhone".  Sono le famose frasi ipotetiche.

Collegamento delle informazioni

Ho due informazioni, le collego per vedere se tra di queste c’è un rapporto di causa ed effetto. Si veda questo piccolo esempio di procedimento:

  • Osservo: “Il mio compagno Gianni è sempre molto triste, parla poco e se ne sta per conto suo”. È una informazione che io ricavo dal comportamento di Gianni. E’ una informazione diretta.
  • Vengo a sapere da un altro compagno che “il papà di Gianni è gravemente ammalato da molto tempo e forse non riuscirà a guarire. La mamma è sempre in ospedale e Gianni è sempre solo”. Informazione avuta da altra fonte, quindi, indiretta. Posso verificare se è vera, o se sono solo voci senza alcun fondamento[4].
  • Collego le due informazioni: “Forse[5] il motivo per cui Gianni si comporta con i compagni in modo così asociale, è dovuto alla sua difficile situazione familiare”.
  • Suppongo perciò che la malattia del papà sia la causa della tristezza di Gianni e che la tristezza di Gianni sia l'effetto della malattia del papà.

“E tu credi agli extraterrestri?”

Ammettere di “ignorare” è (o, meglio, può essere) una “qualità”. In un’interro-gazione posso avere informazioni sufficienti per rispondere a domande precise dichiarando il mio punto di vista, oppure sono costretto ad ammettere con il silenzio la mia ignoranza. In questo caso me ne vado al posto, come si dice, con la coda fra le gambe, convinto che si è trattata di una brutta avventura da dimenticare o, meglio, da riparare.

Ammettere di essere ignoranti non fa piacere a nessuno. Eppure poter dire, o avere il coraggio di dire: “non so”, è anche segno d’intelligenza.

Si possono ascoltare ad esempio in TV discussioni tra “esperti” su argomenti su cui non è possibile discutere, ma nessuno ha la voglia, l’intelligenza di dire: “Signori qui stiamo perdendo tempo, è meglio che ce ne andiamo insieme al bar!” Spessissimo i contorcimenti di difficili parole mascherano il vuoto del pensiero.

  • Esistono o no gli extraterrestri?”. Ogni tanto sono presentati in televisione o sui giornali, specialmente d’estate, quando scarseggiano questioni di maggiore importanza, argomenti di questo tipo, magari perché una persona un po’ stravagante dice di averli visti scendere in giardino.

Uno può sognare un incontro ravvicinato, un altro può provare una terribile paura per esseri mostruosi che invadono la terra da altri mondi, ma ciò nasce nell’immaginazione. Pretendere di fare un discorso “scientifico” senza alcuna informazione oggettiva di partenza impedisce ogni svolgimento logico e soprattutto non porta da nessuna parte. Si formulano solo supposizioni o ipotesi[6], ma senza alcun riscontro nei fatti e perciò…

  • “Chi è l’ultimo boy-friend della famosa star?”. I rotocalchi vanno a caccia di scoop riportando questa volta informazioni in parte vere, ma non controllabili e in parte inventate.
  • Val la pena di darsi da fare utilizzando risorse di tempo e di energia per stabilire la quantità di verità nella notizia? Si può controbattere con un’altra domanda: “Quanto è rilevante la notizia?”.
  • Una possibile riposta intelligente potrebbe essere la seguente: “Non ritengo l’argomento di un minimo interesse, cioè è una questione insignificante, irrilevante, tale da non meritare di essere approfondita!”.

Il pericolo, semmai, è di scambiare per importante o fondamentale quello che risponde a particolari o momentanei interessi. Ci sono quelli che vivono solo per il calcio, anche se è un po’ difficile pensare che questo sia di fondamentale importanza sia per la vita della singola persona che della comunità.

A scuola ti sarà capitato che l’insegnante insista su argomenti presentandoli come fondamentali per la tua cultura o la formazione, mentre a te sembrano solo noiosi. E non è detto che alla fine tu non abbia qualche volta ragione, perché anche a scuola non tutto è di fondamentale importanza. È tuttavia vero che tu oggi non sei in grado di valutare o scegliere ciò che veramente è fondante, su cui insistere, e ciò che invece è accessorio.

Il cammino formativo, se proseguirà nel tempo, ti porterà a dotarti di strumenti critici e diventerai capace di esprimere delle personali e appropriate valutazioni su ciò che è rilevante ed efficace e quello che invece diventa solo un modo di giocherellare discutendo sul vuoto e sul nulla.

Accettare di non sapere, ovvero parliamo di “umiltà”

Sapere di non sapere è una forma di sapere. Quelli che pensano di sapere tutto quello che serve[7] e di non avere nulla da imparare sono personaggi assai ignoranti, perché non migliorano, non progrediscono, se non c’è umiltà, non ci può essere avanzamento.

Chi invece ha l’umiltà di riconoscere di sapere poco, è sempre in ricerca, ha trovato una risposta a una domanda, non si accontenta, cerca sempre di approfondire, arrivando ad accrescere ogni giorno il suo patrimonio di conoscenze e di esperienze.

E inoltre, impara a riconoscere la grandezza e il mistero del mondo che ci circonda e il mistero che è ognuno di noi.

Chi è ignorante, questo non riesce a comprenderlo, perché di fronte alle tante domande che la vita pone, pensa solo in modo “utilitaristico”, (“Questo mi serve per diventare più ricco, più potente, mi dà dei vantaggi? No? E allora non ho proprio tempo da perdere”.)

Di fronte al sapere non c’è solo l’utile, quello che serve ma anche la ricerca del bello, di ciò che dà gusto e sapore alla vita[8]. C’è anche la ricerca del buono e del giusto, perché una vita spesa bene e che sia di buona qualità, non può essere costruita senza rispondere a queste domande[9].

“Sbagliando s’impara”, ovvero dell’errore e della sua utilità.

Alzi la mano oggi chi non ha mai sentito pronunciare questo proverbio. Nessuno? Benissimo. E allora quale sarà il suo significato? Una giustificazione per gli alunni asini o svogliati? Pensiamo tutti di no. Cerchiamo di capire un po’ di più.

Esso vuole “significare” che l’errore è uno strumento per apprendere, cioè per arrivare ad avere conoscenze esatte e a fare qualcosa in modo corretto. Ed è una strada importante.

In molti laboratori scientifici alle grandi scoperte ci si arriva per tentativi ed errori, ma studiandoli poi per capire che qualcosa era sbagliato o nelle premesse,da cui gli scienziati erano partiti, o nei ragionamenti (“procedimenti”).

  • Un esempio, che ci aiuta a capire in modo pratico ciò è quando è costruita una nuova auto. Essa è collaudata e così vengono fuori tutti i difetti di costruzione. Allora gli ingegneri si mettono all’opera per correggere e migliorare le prestazioni. Solamente alla fine l’auto è presentata agli acquirenti.
  • Chi alla fine acquista un’auto quasi perfetta, quasi mai pensa che dal momento della progettazione alla consegna al cliente c’è un lunghissimo cammino di continue correzioni degli errori. È bene che siano messi in luce prima, se vengono fuori dopo, l’auto perde valore.
  • Qualcosa di simile avviene quando un alunno è interrogato, i suoi compagni ne approfittano per concedersi un po’ di relax fra una spiegazione e un’altra del prof. Eppure il tempo dell’interrogazione potrebbe essere[10] un tempo prezioso per tutti. L’insegnante dagli errori del ragazzo non solo potrà giudicare se questi ha studiato, ma si porrà anche delle domande: se le sue spiegazioni sono state efficaci, se la lezione ha bisogno di chiarimenti. Il ragazzo interrogato commetterà degli errori subito corretti dagli insegnanti. Questa correzione e integrazione delle spiegazioni dovrebbero essere sfruttate da tutta la classe.

Terminiamo con altre 2 regole:

1. L’errore è utilissimo – 2. Non bisogna vergognarsi di sbagliare.

A certe condizioni, … però.

Se ti “guardi dentro”, assai facilmente ti sarà capitato di voler fare un intervento in classe, di dire il tuo punto di vista ma di essere rimasto lì con la voce in gola e con il dispiacere poi di non essere riuscito a esprimerti per paura di sbagliare.

L’errore, comunque, non è una colpa, quindi, non bisogna vergognarsene, infatti l’errore si ripara, mentre la colpa si espia[11].

Adesso che ho spiegato l’importanza dell’errore, questa paura di sbagliare è passata e coraggiosamente dirai il tuo punto di vista? Penso di no, perché, se rifletti, quando vorresti intervenire, ma non ne hai il coraggio, in realtà, non hai paura di sbagliare, ma di fare una figuraccia e di essere preso in giro dai compagni.

Certo che “perseverare è diabolico”

Le cose diventano gravi solo in un caso: quando uno commette un errore e non accetta di “ripararlo”. Le situazioni possono essere diverse:

  • L’errore non è riconosciuto. Avviene spesso che si pensi che sia in errore chi fa notare l’errore: “Quello sbaglia, non ha capito niente”... Capita di solito, in caso di rimproveri da parte dei genitori, che giudichiamo: “Sono arretrati, non capiscono quali sono le nostre esigenze, dovrebbero fidarsi di noi… ecc.”. Il non riconoscere un errore nasce o dal non riconoscere l’autorità che lo fa notare o dal non avere fiducia in essa;
  • L’errore è riconosciuto, ma non si ha voglia di ripararlo. Questo capita più spesso a scuola. L’insegnante fa notare che certi errori si possono correggere facendo alcuni esercizi. Qui ci vorrebbe la volontà, bisognerebbe vincere la pigrizia, mettersi, come si dice, d’impegno... Eh, non è proprio facile!

 



[1] Una semplice verifica: quanto tempo dedicate a leggere con attenzione la scheda che scaricate settimanalmente?

[2]  Questo  procedimento logico si chiama sillogismo. È un modo di procedere logico per cui date come vere due affermazioni in premessa, una terza viene dedotta come necessaria (cioè sicura).

[3] Si possono fare anche dei giochetti “logici” individuando dove sta l’errore. Ad esempio osserva il seguente sillogismo: “ Le galline hanno due arti inferiori, Alessio ha due arti inferiori, quindi, Alessio è una gallina”. Riusciresti a dimostrare dove sta l’errore logico? Non è difficile. Solo un po’ più complesso  il seguente sillogismo: “Tutti i ragazzi intelligenti capiscono questo ragionamento, tu non lo capisci, quindi, non sei un ragazzo intelligente”. La soluzione te l’offro io: non è dimostrato (e forse non si può dimostrare) la prima affermazione. Non essendo dimostrata come vera la prima affermazione, anche la conclusione non è vera. È come se si rispondesse alla prima affermazione: “E chi lo dice?”.

[4] La verifica di certe informazioni è sempre molto complicata e anche pericolosa. Prova a pensare perché è così facile avere informazioni indirette sbagliate. Qui viene fuori sempre la grande domanda: "Di quello/quella mi possa fidare?"

[5] Deduco o suppongo?

[6] Ma neppure queste perché supposizioni ed ipotesi devono essere sempre scientifiche anch’esse.

[7] Ci sono alcuni, bravi nel loro lavoro, ma che non escono mai dal loro campo e non sanno nulla del mondo che li circonda.

[8] “A cosa serve un fiore?” Ecco un bel argomento da discutere in classe. A proposito, le discussioni in classe qualche volta le fate? Da quello che sento dire in giro penso che sia un'esperienza piuttosto rara, perché di solito gli insegnanti pensano che "faccia perdere tempo".

[9] Vi accorgete che ogni tanto con facilità passiamo nel campo dell’Etica (cioè del buono-cattivo; giusto-ingiusto)? Infatti, siamo partiti dall’esaminare “la domanda” ed è facile che si presentino delle grandi domande su chi sia l'uomo e quali siano i suoi doveri e giudizi sulla realtà.

[10] Siete già capaci di riconoscere le frasi potenziali?

[11] Che cosa è una “colpa”? Ecco un’altra domanda molto difficilissima, Che cosa proviamo quando ci sentiamo in colpa? Se tu porti a casa per la prima volta una verifica con un giudizio pessimo, ti senti in “colpa”? Attento: qui non siamo nell’epistemologia, ma nel campo della filosofia morale o “Etica”. È tutt’altra cosa, di cui non ci occupiamo qui, ma chissà, forse in futuro! Noi invece qui stiamo parlando dell’errore, che come sai, appartiene al campo della conoscenza!


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