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Job.Scuola.Idee

raccolta di idee e strumenti per una DIDATTICA moderna

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È ovvio che più le trasformazioni in atto, come nel nostro tempo, sono rapide e tumultuose, più le istituzioni, in particolare quelle educative, si sentono messe in crisi dovendo affrontare richieste, bisogni nuovi che neppure emergono con chiarezza. Soprattutto il campo della valutazione dei processi scolastici è quello che più soffre dell’incertezza dell’oggetto e dell’inadeguatezza degli strumenti. La ri-scoperta, o la riflessione sull’esatto significato e ambito di riferimento delle parole che usiamo sono sempre ottimi punti di partenza per muoversi con una almeno minima sicurezza.


A proposito del termine “competenza” traiamo dalle tante definizioni di un buon dizionario quella che ha riferimento al nostro ambito e che qui ci è utile in quanto qualifica la competenza come “idoneità e autorità di trattare, giudicare, risolvere determinate questioni”. Termine, come si vede, alquanto astratto, ma cui devo dare concretezza e sperimentabilità.


Dato per acquisito che compito principale della scuola dell’obbligo è la formazione della persona attraverso l’istruzione, a ciò concorrono tutte le attività disciplinari ed extradisciplinari che ogni comunità scolastica promuove. È pertanto legittima la domanda a quale dimensione di questo compito concorrono le ore e le attività dedicate alla storia.


Ora, occupandomi di storia, mi sforzo di scoprire tutta la valenza e le possibilità della materia, concordando sul fatto che ogni maturazione e progresso in qualsiasi campo, deve sfociare in competenze. Tengo conto, tuttavia, delle difficoltà che riporto quando mi riferisco alla mia sfera di “competenza”. Il problema in maniera più articolata si pone così: che cosa significa competenza storica riferita a ragazzi di scuola media e, particolarmente, di una classe ben caratterizzata da diversi livelli di maturazione e di apprendimento? Quali competenze posso richiedere o migliorare? E, soprattutto, come posso verificarle?
La struttura stessa delle Unità di Apprendimento intese come attività prevalentemente laboratoriali ha determinato anche per la Storia, generalmente considerata disciplina “di studio” dalle scarse e difficili implicazioni pratiche, un’impostazione che si potrebbe definire induttiva: da un campo limitato di indagine, dall’analisi di un fatto, da un’osservazione o una discussione iniziale ho cercato di suscitare negli alunni la curiosità necessaria per passare dal particolare all’universale, o meglio dal singolo evento alla successione di eventi e naturalmente ai collegamenti tra essi.


 


Questo ha comportato, per quanto riguarda la valutazione delle singole fasi di attività, un’attenzione particolare verso la partecipazione dell’alunno alle discussioni in classe, al suo desiderio di intervenire e di “personalizzare” la ricerca iniziale. L’incremento della curiosità per la conoscenza del passato (non a caso il primo traguardo definito nelle Indicazioni per il curricolo) dipende comunque dall’abilità del docente nel toccare le corde emotive e i reali interessi dell’alunno, e nel creare quel collegamento tra il “qui e ora” e il “là e allora” senza il quale una vera formazione storica dell’adoloscente non può essere.
Nelle fasi iniziali ed intermedie delle diverse unità di apprendimento, ho inserito comunque attività laboratoriali volte a sviluppare le capacità di analisi, così importanti per ricavare informazioni storiche da testi di vario genere (Traguardo g.), ma ho spesso preferito proporre alla classe come oggetto di indagine “immediata” un’opera d’arte, lasciando che dalla spontanea ma guidata
descrizione scaturissero interpretazioni storiche anche inattese, utili per i successivi approfondimenti (Traguardo f: “Conosce e apprezza aspetti del patrimonio culturale….”). Nella lettura di testi, ho dato particolare importanza alla terminologia storica, osservando la capacità degli alunni nel ritenere le spiegazioni dell’insegnante e sfruttarle nei momenti di verifica o di sintesi finale.


Il passaggiodall’analisi alla sintesi è avvenuto spesso attraverso la costruzione di schede biografiche, tabelle comparative, mappe concettuali, simulazioni, diagrammi, carte geo-storiche: tale lavoro di organizzazione di dati e conoscenze in prodotti di diversa tipologia rientra sia nella costruzione di un metodo di indagine storiografica specifica, da affinare attraverso successivi interventi, sia nell’elaborazione di un metodo di studio (Traguardo g) utile non solo per la Storia.
E’ infatti l’interdisciplinarità, forse un po’ trascurata dalla recente normativa, che mi ha guidato nell’individuazione delle strategie didattiche laboratoriali: i naturali momenti di incontro con la letteratura, la geografia, le scienze, la religione hanno ampliato la visione degli alunni sul fatto storico, collocato in uno spazio e in un tempo ricchi di implicazioni. Nel valutare la capacità di utilizzare le esperienze in quadri sintetici, ho constatato un significativo “aiuto” dato dall’approccio multidisciplinare, la cui trama è stata spesso essenziale nell’attivazione dei procedimenti mnemonici e nell’operare confronti tra fatti storici e realtà odierna (Traguardo i:”orientarsi nella complessità del presente”).
Concependo le unità di apprendimento con tale ampio respiro e ritenendo banalizzante un eccessivo particolarismo, nella parte centrale dei laboratori non ho rinunciato a momenti di “spiegazione” da parte del docente: nella Storia a mio parere è ancora indispensabile la competenza dell’insegnante, interprete e guida esperta, soggetto che più di tutti “sa”, “sa fare”, e soprattutto “sa far fare”; infine osserva.


Numerosi sono i momenti in cui l’alunno dimostra di saper fare nelle UA, ma specifiche verifiche e segnatamente il Compito Unitario in situazione devono rimanere per il docente solamente uno dei modi di valutare, quello “hic et nunc” o, appunto, in situazione (e può esserci ancora una certa pretesa di oggettività). Nel momento in cui non si valutano più le performances inserite in “quel” contesto ma lo sviluppo delle competenze, l’insegnante diventa osservatore di un percorso, utilizza a sua volta le proprie competenze valutative, e lascia spazio al soggettivismo….nulla di male, si tratta di un mirabile “knowing how”, che però avrebbe bisogno, per svilupparsi come buona pratica, di un elemento di continuità che nella scuola italiana troppo spesso non c’è: la possibilità per l’insegnante e per l’alunno di “camminare insieme” per un triennio.
Vorrei puntualizzare il concetto che le Ua si sviluppano all’interno di una attività laboratoriale come luogo privilegiato per lo sviluppo e la verifica delle competenze. Ma essa è anche il luogo privilegiato all’interno del quale si sviluppa la creatività dell’insegnante.



Che cosa caratterizza, infatti, un laboratorio? Punti qualificanti di esso sono la sperimentazione, la cooperazione, la ricerca. Devo fare in modo che le mie unità di apprendimento tengano presente questi tre modi operandi. Sono le tre dimensioni all’interno delle quali è più utile progettare competenze e verificarne lo svolgimento.

Per quanto riguarda la “ricerca”, nella scuola dell’obbligo essa spetta all’insegnante e si esprime nella scelta dell’argomento e nel differenziare il lavoro con la strutturazione di compiti diversi e di diversa difficoltà e complessità a seconda delle capacità dei destinatari, personalizzando così la valutazione. È strategico, inoltre, scegliere il campo d’indagine di una attività di laboratorio di educazione storica avendo sempre come riferimento le sue basi storiografiche, quelle cioè che formano la conoscenza storica e dalle quali solo discendono conoscenze e competenze. Proviamo a riflettere sulla valenza storiografica di una unità di apprendimento che partisse dal titolo: “il cibo nel medioevo”. Possiamo dire che essa ha una valenza storica? Perché no? Il problema si pone nella misura in cui io cerco di partire dalla curiosità per arrivare a una comprensione storica dei fenomeni all’interno dei quali mi addentro. E questo non è sempre facile.
L’insegnante propone comunemente questionari, prove di verifica. Perché non proporre allo stesso gruppo di alunni di discutere, approntare talvolta tali strumenti, adattandoli a vari livelli di capacità? Ecco un semplice esempio (ma se ne possono indicare altri) come nel laboratorio maturano e si verificano competenze nel campo della cooperazione.


È più semplice forse porre oggetti di sperimentazione e di verifica. Un terreno in cui la competenza si esercita e si verifica è quello consono ai ragazzi del gioco e della simulazione. Cito qualche strumento che a me sembra particolarmente utile per sviluppare, esercitare e permettere la verifica di alcune competenze apprese. I (tanto deprecati) videogiochi, specie quelli in cui si gioca in gruppo, sono qui utili, ma alcuni si prestano con profitto. A titolo d’esempio, il gioco di simulazione Sim City , appare utile per mettere alla prova le competenze di conoscenza in campo socio-economico apprese attraverso l’educazione storica . Se in un paese o in una scuola si è costituito il Consiglio Comunale Ragazzi questo è una occasione per far incontrare e sperimentare ai ragazzi alcune dimensioni della partecipazione e delle dinamiche “politiche”. Io valuterei con gli alunni anche quanto i cosiddetti giochi di ruolo possano essere utili.


Antonio Boscato


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