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Quando l’alunno è una “fonte storica”

Alla luce di quanto detto circa la storia come laboratorio, essa entra anche in momenti diversi da quelli strettamente legati alla materia.

L'alunno nelle esercitazioni scritte produce storia, quando “racconta” (cioè fornisce molte informazioni non irrilevanti ma significative, fornendo circostanze e collegamenti) ed elabora il racconto con la riflessione (“da questo fatto/esperienza ho capito che...”), assumendo così un giudizio per il presente. L’insegnante, come storico, deve ricostruire, interpretare, comprendere  un vissuto personale. Ovviamente  non tutto ciò che di personale produce l’alunno è documento storico, ciò si verifica in particolari situazioni e contesti, sta all’intelligenza del docente saper cogliere dal quadro della produzione la significatività storica.

A dimostrazione che certi schematismi sono poco didattici, porto un esempio. Potremmo intitolarlo: “Quando gli alunni diventano (involontariamente) fonti storiche”.

Una classe di seconda media viene chiamata a svolgere la seguente (generalissima) esercitazione scritta proposta dall'insegnante: “le mie vacanze estive”. Tutti gli studenti, altrettanto genericamente, descrivono: “sono stato a... ho fatto... mi sono divertito/annoiato...”. Una alunna, inconsapevolmente, ma non casualmente, fa un piccolo “tema di storia” quando “racconta”:

“… però quest'anno è stato meno divertente degli altri anni, perché c'è stato qualcosa che me l'ha rovinato, qualcosa che non porterò mai più con me, e cosa di cui non parlerò mai con nessuno, qualcosa di mostruoso, gigantesco e brutto, anzi bruttissimo!!!. Quest'anno non me lo vorrò dimenticare, ma il prossimo anno che succederà non avrò pietà, risponderò in modo che non ho mai risposto, da quest'anno la mia vita è cambiata perché mi sto comportando in modo più aggressivo. Se mi dovesse ricapitare, preferirei non andarci al mare. Però penso che questa cosa non mi capiti mai più!! Ritornando dalle vacanze mi sono ricordata questa cosa,una delle cose che cambierà il mio mondo, la mia famiglia, la mia vita. Mi sono ritirata meno di due settimane prima che cominciasse il nuovo anno. Però questa cosa sarà sempre nella mia vita, che non cambierà mai più”.

È un esempio dei famosi “temi” assegnato in classe (si usano ancora?), ma perché non leggerlo come un documento storico?  L’insegnante, ovviamente, non ha indagato oltre, ma ha colto che una (spiacevole?) esperienza del passato ri-vissuta nel ricordo della nostra alunna ha cambiato una prospettiva, un modo di giudicare e di vivere il presente. Abbiamo qui un “ricordo” che ha lasciato un segno è conservato e trasmesso in una memoria scritta. Esso contiene un riferimento a una esperienza, allo stesso tempo riporta una riflessione sul significato che per l’autrice  assume tale avvenimento.

Come  valutiamo questo scritto? Solo per gli aspetti formali, per una confusione nell’esposizione del pensiero, per le incertezze e gli errori sintattici e logici? Oppure lo interpretiamo? Cioè diventiamo “storici” perché leggiamo il passato – di una persona in questo caso - e diamo significato, assegniamo importanza pure alla confusione indice di una confusione interiore, ma ciò è possibile se io conosco e ho valutato nella quotidianità la mia fonte storica (alunna), pertanto, attraverso la documentazione scritta, entro nel suo mondo interiore.

Si sa che l’insegnante rifiuta la confusione del suo ruolo con quello dello psicologo (grande questione oggi di fronte a tanti alunni in difficoltà relazionale), ma esercitando la memoria, raccogliendo le giuste informazioni da diversi materiali, dando loro significato, correlandole (non è forse questo fare storia?), può operare con opportuni interventi in chiave psicopedagogica magari con discreti e gratificanti risultati. La formazione storica per il docente è un formidabile strumento per la globalità della sua attività didattica inserita nelle problematiche e drammatiche questioni del suo ruolo oggi.

 



[1] Agostino, Le confessioni, XI

 

[2] Erodoto, Storie, Proemio

[3] Tucidide, La Guerra del Peloponneso, libro I, 20-21

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