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DIAMO VALORE ALLA PAROLA

 

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 Per fare domande, ottenere risposte noi abbiamo come strumento fondamentale la parola, che può essere parola parlata o parola scritta.

Attenzione, anche quando scriviamo una semplice domanda, magari già precompilata (ad esempio, per l’iscrizione a un corso di musica o ad un’attività sportiva), usiamo sempre parole, anche se, poiché lo strumento è diverso, parlare o scrivere comporta abilità e competenze diverse.

Non è difficile scoprire che persone, che sono abbastanza scorrevoli nel parlare, non sono capaci di scrivere testi semplici. È il caso del cosiddetto "analfabetismo di ritorno”; infatti, lo scrivere, come tutte le attività umane, richiede una certa pratica e una notevole fatica. Se non viene mai utilizzata, la capacità di scrivere viene dismessa.

Se ci mettiamo in testa di parlare del valore della parola, entriamo in un campo veramente sterminato. Di questo tema se ne occupano scienza, medicina, psicologia, religioni (per nulla il Cristianesimo è Parola di Dio) e chi più ne ha più ne metta.

Qui invece svolgeremo alcune riflessioni, che ci portino ad alcune scoperte utili per la nostra crescita.

Apprendere a costruire la propria dotazione di parole

Di solito diamo per scontato che parlare è una cosa che si impara da sé: dai balbettii del bambino dei primi mesi sino al discorso completo di uno studente c’è un percorso di addestramento ben delineato, però non così spontaneo come potrebbe apparire.

  • Si impara a parlare, a seconda dell’ambiente in cui si cresce, della famiglia di appartenenza, delle esperienze di relazione con tutti coloro, familiari e no, con cui si entra in contatto. Provenienti dalla stessa zona della città puoi trovare il bambino che non sa parlare il dialetto e il compagno che sa parlare solo il dialetto.
  • Il bambino avverte parole dolci e di affetto attorno a sé. In certe situazioni, però, il bambino “sente” parole aspre, di ira, di disprezzo, talvolta di odio, magari non verso di lui ma fra gli adulti che gli sono vicini. È il clima dentro il quale cresce la capacità di parola.
  • Aiutano a costruire il proprio vocabolario anche le trasmissioni televisive che fin da bambini vengono viste talvolta per diverse ore. Esse trasmettono certe parole, con una certa voce, con un timbro e tutto questo entra nella mente del bambino e lo influenza (e non solo da bambino!) .

Forse, il luogo in cui si impara meno a parlare è la scuola.

Riflettiamo: a scuola si imparano tante cose, ma non si impara a parlare. È vero?

  • È vero, intanto, in una classe numerosa, di fronte ai compagni e ad un insegnante, da cui sembra essere sempre un po’ giudicato e controllato, un alunno non si sente incoraggiato[1].
  • In classe parla molto l’insegnante[2]. Gli alunni, a loro volta, parlano soprattutto quando sono interrogati. È vero, in qualche momento viene data la parola anche a loro, ad esempio perché esprimano la loro opinione su qualche questione, ma ciò accade raramente, perché gli alunni non sono capaci di rispettare le regole del parlare: parlano tutti assieme, non seguono un certo ordine, intervengono a caso… E allora si preferisce che rimangano in silenzio, preferibilmente ad ascoltare.
  • Bisognerebbe che a scuola si trovasse il tempo per addestrare gli alunni a parlare, il che richiede tempo che non sempre si ritiene di avere. Anche l’educazione all’ascolto è fondamentale dal punto di vista educativo, ma qui non entriamo.
  • Gli alunni possono esprimere il loro pensiero di solito in un compito preferibilmente in classe, assegnando loro un argomento preciso e del tempo preciso[3] (perché a casa non si sa chi poi veramente lo svolga!). In tal caso, quello che scrivono (dicono) gli alunni viene giudicato sotto l’aspetto formale, ortografico e sintattico (ci sono errori, la sintassi è ben ordinata, i pensieri sono correttamente legati…). Ma quante volte viene giudicato il contenuto[4] di quel compito, che dovrebbe essere l’elemento più importante che indica come cresce, matura, sviluppa il proprio pensiero l’alunno?

Riflettiamo

L’essere umano è tale perché parla, cioè comunica

  • Noi conosciamo una persona soprattutto dalla voce. Non riusciamo a stabilire una vera comunicazione con una persona che è afona[5]. Se siamo turisti in un paese con una lingua molto diversa dalla nostra, tutte le voci che sentiamo attorno, per noi sono solo rumore. Siamo completamente esclusi dalla comunicazione, tanto da trovarci in difficoltà se non abbiamo una guida che ci aiuta e traduce le nostre richieste.
  • Manifestiamo esattamente quello che siamo sicuramente attraverso i nostri gesti, i nostri comportamenti, atteggiamenti… Essi però possono essere interpretati in maniera diversa, ma ci presentiamo principalmente attraverso la parola e con la qualità che l’accompagna (è coerente, sincera, limpida[6]…? ). Nessuno conosce realmente i nostri pensieri se non attraverso quello che diciamo.

Eppure non è facile parlare. Ci sono degli ostacoli esterni, non solo il rumore del traffico o dei mezzi di trasporto. Spesso le parole sono sommerse da tanti tipi di rumore che è attorno a noi (e anche dentro di noi) che diventano indistinguibili.

  • A casa le cose potrebbero andare meglio ma, se vogliamo dire qualcosa, capita che non riusciamo ad attirare l’attenzione di colui a cui ci rivolgiamo, perché questi è tutto teso a guardare una trasmissione televisiva e ti dice: “Stai zitto, aspetta aspetta…”. Oppure: “Guarda, sto per uscire, ne parliamo dopo…”. Ecco, quindi, il ruolo della fretta e della distrazione.
  • E, come se le cose non fossero abbastanza complicate, ci sono poi gli inviti che, talvolta severamente, ci vengono rivolti: “Pensaci, prima di parlare…”, E questo frequentemente quando abbiamo detto, o sembra che abbiamo detto, qualche sciocchezza (la qual cosa può capitare a tutti!). Il guaio è che spesso quello che diciamo viene considerato una sciocchezza, anche quando non lo è.
  • A dire il vero, l’invito giusto dovrebbe essere: “Ascolta, poi rifletti e, infine, parla”. Questo esprime l’invito all’ordine mentale, che ci permette di comunicare, attraverso la parola, pensieri non banali, ma, talvolta, di qualità.
  • Altre espressioni comuni che sentiamo: “Che cosa hai riportato dall’incontro con quel tipo? Mah, non saprei, ha detto e non ha detto![7]. I casi sono due: o quel tipo non ha detto veramente nulla di interessante, sensato, oppure proprio non ho ascoltato: non mi interessavano le sue parole o non mi interessava il tipo.

Quando le parole hanno valore?

Quando hai valore tu. Avete mai sentito l’espressione: “Sei quello che mangi”? Messa così è molto materialista e un po’ volgare, anche se ha una certa base scientifica[8]. Un po’ più nobile invece l’espressione : “Sei quello che fai”. L’espressione che piace di più è questa: “Sei quello che dici”.

È la parola, non solo quella che noi rivolgiamo all’esterno parlando con qualcuno, ma la parola interna, quella che, insieme alle immagini, dà forma ai nostri pensieri, quando dialoghiamo con noi stessi, che esprime ciò che noi veramente siamo. Infatti, quando noi riflettiamo, anche senza accorgercene, adoperiamo parole. Sono queste che danno forma al dialogo interiore.

Riprendiamo un’altra espressione comune: “Ma sei sicuro di quello che stai dicendo?”. Potrei dare varie risposte: “Mah, forse non proprio, perché l’ho sentito dire da un mio amico”; oppure (detto da un bambino piccolo): “Sì, me l’ha detto mio papà, che non sbaglia mai!”; oppure, ancora: “Sì, sono fermamente certo, c’ho pensato a fondo, c’ho ragionato. Fidati, è proprio così![9]. Ma per essere credibile nelle mie affermazioni, devo aver dato testimonianza che sono una persona credibile.

Una frase molto diffusa: “quello predica bene ma razzola male”. C’è un universo sterminato di persone che fanno bellissimi discorsi agli altri, ma fanno esattamente il contrario.

Dare valore alle proprie parole è possibile se queste sono testimoniate dalla coerenza.

Il mio parlare deve essere un parlare attivo. Con parole diverse, come sto usando la parola? Ho l’aria di parlare convinto, con la volontà di farmi sentire, o con l’aria stufata. O. peggio ancora, schifata?

Spiego. Quando parliamo, non ci sono soltanto parole ma qualcosa le accompagna sempre: si può parlare veramente con qualcuno senza guardarlo negli occhi? Pensiamo che le nostre parole colpiscono qualcuno se sono distratte, buttate lì per convenzione ma senza intenzione di avere una vera risposta[10]?

La parola è potente: essa cambia il mondo

Ed anche noi.

Eccovi un’altra espressione comune: “Qui ci vogliono fatti non parole!”.

In effetti, incontrando la storia, a uno sguardo superficiale sembra che il mondo sia stato cambiato da grandi avvenimenti e da grandi personaggi che li hanno diretti. Facciamo soltanto due esempi:

  • L’Impero Romano è caduto a causa dell’arrivo dei Barbari.
  • La scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo ha cambiato il sistema dei viaggi e delle relazioni commerciali in Europa. Tutto vero.

Ma, ad essere un lettore attento dei fatti storici, ci si accorge che un grandissimo spazio, forse anche maggiore, lo ha avuto la Parola. Cito solo due esempi storici, ma nel corso del vostro studio della materia ne trovate quanti volete.

  • La parola di un falegname della Palestina (Gesù) ha cambiato il mondo e la Storia
  • Tante grandi Rivoluzioni sono iniziate ispirandosi a grandi parole che hanno trascinato interi popoli. La Rivoluzione Francese ha introdotto il concetto di democrazia grazie alle tre parole fondamentali che tutti conosciamo: Liberté – Egalité -Fraternité.
  • Non solo, tutta la nostra conoscenza deriva da filosofi, scienziati, scrittori che hanno trasmesso conoscenze e messaggi attraverso la parola parlata o scritta.

Il pensiero è fondamentale anche per l’azione. Dietro a una grande impresa c’è sempre una grande idea. Ma la parola è potente non solo nella storia. Lo è anche quando l’usiamo noi. La parola infatti può cambiare molto in noi e attorno a noi. Portiamo due semplici esempi dalla vita di ogni giorno.

  • Siamo informati dalla televisione che a causa di una serie di insulti e di molestie verbali una persona fragile è stata indotta a un gesto disperato; non vale poi il pentimento, se prima non c’è stata la consapevolezza che anche la parola può, in certi casi, essere un’arma mortale.
  • Momento sempre delicato per ogni persona è quello di “trovare le parole giuste” per trasformare un’amicizia in un rapporto più intenso e amoroso. Dei segnali possono essere inviati con altri mezzi, un invito in pizzeria, dei continui messaggi in linea SMS, ma alla fine l’incontro deve avvenire tra due persone, guardandosi in faccia e “parlandosi”.

Semplici regole al buon parlare

Abbiamo fatto finora delle osservazioni forse interessanti, ma non è che siano un po’ astratte? Allora cerchiamo di concludere questa sezione, comprendendo meglio cosa significa veramente “imparare a parlare”.

Alcune semplici regole di comunicazione sarebbero molto utili anche nella vita di tutti i giorni e non facciamo qui riferimento a regole di grammatica e sintassi.

Imparare a parlare è un’arte che si apprende applicando e sperimentando un insieme di regole, come tale si sviluppa lungo tutto il corso della vita, non è cioè un corso annuale o triennale, che si conclude con un certificato, un diploma…

Serve qui richiamare alcune di queste regole, certamente non tutte. Forse non sono neppure le più importanti, ma possono essere riconosciute con facilità prestando un po’ di attenzione.

  • Prima fondamentale regola è certamente quella di imparare parole nuove. Questo lo si fa soprattutto leggendo. Ovviamente, nel passato i ragazzi, mancando gli attuali strumenti, dedicavano molto più tempo a leggere.

Ogni giorno nascono parole nuove, quasi tutte derivate dall’inglese, molto tecnologiche ma poco espressive e, quindi, il linguaggio è sempre più povero. Un insieme di parole non fa un linguaggio, non esprime sempre un pensiero. I pensieri si costruiscono soprattutto attraverso la lettura, e sono dialoghi, racconti, testi poetici, descrizioni di personaggi e di natura… che arricchiscono la persona, prima del suo linguaggio. Quelle che oggi vengono perse sono le parole più importanti, ricche di significato, quelle che troviamo negli autori celebri, anche nella narrativa per ragazzi.

  • Quando si ha qualcosa da dire, bisogna dirla, certamente alla persona giusta e nel momento giusto. Ciò richiede di essere convinti delle proprie idee, coraggio, e forza interiore. Questo testimonia la qualità della propria crescita. Nel non intervenire mai non influisce solo la timidezza o la paura, ma più spesso la pigrizia: “Ma perché devo parlare, chi me lo fa fare…”
  • Scegliere il momento di parlare. C'è un momento per ogni cosa. Ci sono momenti in cui si è più disposti a parlare, ma, soprattutto, coloro a cui ci si rivolge sono più disposti ad ascoltare. È inutile pensare di fare discorsi importanti in mezzo alla confusione. È un segno di intelligenza capire quand’è il momento giusto.
  • Scegliere il momento di tacere. Non sempre parlare è utile, qualche volta serve di più tacere. Ciò rientra nella virtù della prudenza, di cui abbiamo già detto. Rinviando ad un momento più opportuno un intervento, esso può risultare più efficace[11]. Tacere qualche volta è più utile: può sembrare un segnale di debolezza, può esserlo invece di forza.
  • Quando si parla si è spinti anche da motivazioni interne: non solo cosa dico, ma perché lo dico. Quindi una saggia operazione da fare di tanto in tanto è chiedersi: “Perché ho detto quella cosa, in quel modo, con quella forma…? Sono stato capito? Avrei potuto esprimermi in modo diverso per essere più compreso”[12].
    •  Per quanto possibile, prevedere l’effetto della parola sulla persona cui ci si rivolge.
    • Bisogna intuire che la Parola è uno strumento per creare. È questo un invito a scrivere, scrivere spesso, magari anche se si sa che quello che viene scritto non sarà letto da nessuno. La parola è lo strumento per creare pensieri.
    • Sperimentare le parole nuove e vecchie scrivendo. Si deve scrivere anzitutto per se stessi, non perché lo scritto possa o debba essere pubblicato e neppure letto da altri. Non è importante riempire il foglio, è importante cosa si scrive. Non importa neppure il voto che potrebbe dare allo scritto l’insegnante, anzi, forse, qualche volta non è neppure necessario farglielo leggere. Quando si scrive un diario, un racconto, una descrizione o riflessione, si è dei creatori, in parte anche degli artisti. Prima, il vostro pensiero non esisteva, ora esso è, ed è aperto anche ad altri.

E, soprattutto di questa vostra esperienza parlatene con i genitori, lo avete certamente fatto con i compagni, ma soprattutto con gli insegnanti.

Probabilmente li sorprenderete, perché essi non pensavano che, come ha detto una di voi, “che la filosofia possono farla tutti o quasi, basta avere qualcuno che la insegni nel modo giusto per la propria età”.



[1] Talvolta, capita l’opposto: c'è quasi in ogni classe l'alunno sempre con la mano alzata, che vuol essere il primo a intervenire in una risposta, facendo vedere all'insegnante quanto è bravo, quanto ha studiato (e forse anche quanto è migliore dei compagni).

[2] E, infatti, l'insegnante appartiene alla categoria che più è esposta alle malattie delle corde vocali.

[3] Il che è sicuramente il modo più sfavorevole perché uno possa esprimere in maniera personale il proprio pensiero

[4] Del contenuto della parola ne parliamo più avanti.

[5] Cioè che non può parlare a causa di qualche malattia.

[6] Perché può essere falsa, ambigua…

[7] Questo richiama il discorso sulla verità avviato nella scheda precedente.

[8] Con parole simili il messaggio è il seguente: se mangi grasso, sei grasso. Magari la scientificità é data dal fatto che oggi un sacco di trasmissioni televisive si dedicano all'arte di approntare piatti elaborati, di cucinare e di fare creazioni da chef. Se poi aggiungiamo tutte le indicazioni sui settimanali per le diete dimagranti…

[9] Richiamiamo un po’ il discorso dell’affidabilità e della credibilità.

[10] Ci sono le parole che vengono buttate lì: Ciao, è un pezzo che non ti vedo, come va?”, e la risposta convenzionale: “Così così, ciao”. Ma se la risposta fosse: Male, aspetta che ti racconto tutti i miei guai…", non pensate che il primo interlocutore scapperebbe a gambe levate? La frasi convenzionali non sono mai domande, quindi, non è sufficiente il punto di domanda per fare una domanda.

[11] Questa è la normale situazione in cui ci si può trovare nei momenti di contrasto e di litigio con compagni, ma, soprattutto con genitori e con insegnanti.

[12] Come abbiamo detto precedentemente, anche questo appartiene all'arte di imparare dai propri errori.